Here We Are
Chanasorn Chaikitiporn rievoca uno degli eventi più tragici e dolorosi della recente storia thailandese, intrecciando il passato e la memoria.
Ogni Paese ha non solo dei propri luoghi della memoria, ma anche delle date simbolo. Giorni che rievocano gli eventi segnanti per la vita di una nazione e attorno ai quali un popolo, in modo più marcato o silente, si rinsalda, si riconosce o riflette, costruendo quella memoria collettiva che plasma l'identità sociale e che rappresenta il legame essenziale tra passato e presente. Il 6 ottobre 1976 è una data che ancora perseguita la Thailandia, una ferita aperta e probabilmente non rimarginabile, che aleggia come uno spettro. Quel giorno migliaia di studenti si radunarono presso l'Università di Thammasat, a Bangkok, protestando contro il recente rientro in patria dell’ex dittatore Thanom Kittikachorn, tornato dopo tre anni di esilio. Il governo, in risposta, con un atto di violenza terribile dispose l'intervento di forze paramilitari che, coadiuvate dalla polizia locale, aprirono il fuoco sulla folla. Le vittime furono 46 (secondo stime governative, ma molto probabilmente arrivarono almeno al doppio) e su chi si arrese furono inflitte umiliazioni e torture indicibili. Un lacerante incubo nella notte che da molti decenni ammantava il Paese, tra ripetuti colpi di stato, instabilità e crisi, nel più complesso e generale scenario della Guerra Fredda.
L'efferata violenza di quell'evento si è protratta con il tentativo del governo di offuscarne il ricordo e la ricostruzione, di impedire che le immagini lo tramutassero in memoria e immaginazione collettiva. Le foto e i video del massacro furono limitati, svuotati, impedendo di dare un corpo alle immagini e di attribuire un nome e un'identità ai volti dei colpevoli. È anche attraverso le più subdole e insidiose forme di iconoclastia che si manifesta la crudeltà verso un popolo, vista come una pratica di liberazione simbolica, di controllo e di riduzione delle immagini a superfici vuote o materia inerte e mancante. Parte da qui Here We Are, film diretto da Chanasorn Chaikitiporn e visto in Concorso alla sessantesima Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro; dal ruolo del cinema che vede il proprio destino unirsi a quello della memoria, trovandosi a un punto di convergenza che si configura come luogo di ibridazione. Una compenetrazione in grado di dispiegare il passato nel presente e dare nuova vita alle immagini, anche attraverso l'assenza, come in questo caso.
Quel 6 ottobre, nei 19 minuti di durata del film, non viene mai citato esplicitamente, non vediamo le foto né tantomeno i filmati. È il soggetto in absentia, che aleggia dietro qualsiasi parola e qualsiasi immagine, intrecciando la storia recente del Paese mediante i ricordi in voice-over di una governante, in un dialogo immaginario con la figlia, e l'uso di materiale d'archivio. A fare da preambolo è un film che le viene inviato dalla figlia. Un film anch'esso mancante, che non vediamo, o che comunque non viene indicato, e che la protagonista non riesce a decifrare e a comprendere totalmente. Le immagini con cui si apre Here We Are sono invece quelle propagandistiche prodotte dallo United States Information Service a presentazione della SEATO, l'organizzazione per la difesa collettiva dell'Asia sud-orientale, ed è proprio il legame della Thailandia con l'Occidente e gli USA ad aver segnato gli ultimi settant'anni della nazione in modo ancor più complesso e profondo.
Chanasorn Chaikitiporn riflette su questo rapporto, indagando in nuce il concetto di cripto-colonizzazione che ha riguardato la Thailandia più di altri Paesi, cresciuta sotto l'influenza di un sogno libertario e di uno sviluppo che hanno portato a conseguenze inattese e spesso non inquisite. In Here We Are le immagini del presente e dei filmati di archivio si alternano con quelle dei giornali e delle riviste che sancivano quel trattato e quella connessione con gli Stati Uniti, per soffermarsi successivamente sul monumento dedicato ai fatti del 1976. Sono inserti che instaurano un intenso dialogo con il racconto della protagonista e con gli eventi narrati, testimoniando la capacità del cinema non solo di rievocare il passato ma di riarticolarlo. Al tempo stesso infondono alle immagini un senso materico e danno loro corpo (che è anche il nesso tra immagini e memoria), incidendo in questo modo sulla percezione e sull'esperienza dello spettatore. Le riviste sfogliate da una mano una a una, come vengono sfogliate le pagine della Storia dalla voce della governante; il dito che si posa su una carta geografica e la percorre, ad attirare lo sguardo e a guidarlo sull'immagine. Gli unici volti che appaiono in primo piano sono quelli in rilievo del monumento, espressione del passato, del ricordo. Mentre il presente si configura come un intreccio di interni vuoti ed esterni impersonali, in un Paese che un proprio volto sembra non averlo più.