Hexham Heads
L'horror sperimentale di Chloë Delanghe e Mattijs Driesen indaga il mistero del cinema restando a metà strada tra opera teorica e film sensoriale.
Non è un caso che Hexham Heads – mediometraggio sperimentale di Chloë Delanghe e Mattijs Driesen, presentato in concorso alla 60° Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro – parta proprio dall'abusatissima etichetta “tratto da una storia vera” per riflettere sulle immagini e sul rapporto che abbiamo con esse. Prendendo spunto dalla serie di presunti eventi paranormali che hanno avuto luogo ad Hexham, Inghilterra, nei primi anni settanta, in seguito al ritrovamento di due misteriose teste di pietra alte 6 centimetri, il film si pone infatti l'obiettivo di partire dal dato “reale” tipico di tante narrazioni contemporanee, horror compreso, per ricostituire quel genere attraverso un approccio altro, quello di un cinema sperimentale che gioca proprio con le immagini iper-codificate dell'horror per riscoprirne l'origine fantasmatica.
È così che Hexham Heads, al di là delle sue suggestioni J-horror e di elementi che strizzano l'occhio al recente revival folk, diventa soprattutto una riflessione sul mistero della riproduzione fotografica, su come le immagini, cioè, "infestino" la nostra realtà, distorcendola o permettendoci di passarle attraverso. È un un viaggio liminale, del resto, il film di Delanghe e Driesen. Un viaggio fatto di passaggi, porte e finestre da attraversare, suoni perturbanti e aspettative tradite, formati (dal VHS alla pellicola in 16mm) e linguaggi differenti, dove foto e fotogrammi paiono ridefinire continuamente la propria funzione e la realtà che dovrebbero rappresentare.
Citando esplicitamente la “stone tape theory” – la convinzione, cioè, secondo cui alcuni oggetti inanimati siano in grado di “registrare” l'energia derivante da eventi del passato per poi “riproiettarli” in condizioni favorevoli – il film crea così, attraverso un luogo cristallizzato nel tempo e “sovrimpresso” alla realtà, un parallelo tra fantasmi e fotografia, cinema e soprannaturale, tentando di fissare quelle presenze su pellicola, di trattenerle il tempo di un'istantanea.
Un film teorico e sensoriale al tempo stesso, insomma, in cui la riflessione su immagini, cinema e genere si fa un tutt'uno con l'esperienza filmica, con l'inquietudine generata da un horror atipico e fuori da ogni canone. Nella sfida, forse impossibile, di ridare un nuovo peso alle immagini e al nostro modo di guardarle.