Parkland of Decay and Fantasy
Al TFF40 il non documentario cinese racconta di un parco divertimenti abitato da presenze misteriose
Un oggetto limite Parkland of Decay and Fantasy (presentato alla 40° edizione del Torino Film Festival per il Concorso Documentari Internazionale) che si muove tra il documentario e la finzione, tra il mondo dei vivi e quello dei morti, giocando con i dispositivi e riflettendo sulla storia di una nazione sempre divisa tra il millenario passato e il presente che corre. Un parco divertimenti chiuso da oltre vent’anni è il teatro attorno a cui diversi personaggi ruotano. Un luogo misterioso, forse infestato da fantasmi e attraversato da diverse leggende, un non luogo perturbante vicino allla metropoli Shanghai che stimola la curiosità di influencer, artisti o appassionati di storie macabre. Chenliang Zhu raccoglie e monta diversi punti di vista e testimonianze, il film si apre proprio con il monologo di un musicista che descrive il parco come un ambiente popolato da fantasmi e dove una pittrice, anni prima, ha perso accidentalmente la vita. Si susseguono poi diversi personaggi e modi di filmare: l’influencer che perde la sua compagna durante la diretta Instagram, i racconti degli abitanti della zona, le testimonianze dirette con riprese notturne, i (falsi?) avvistamenti di un fantasma, i momenti di pura evasione visiva. Quello di Parkland of Decay and Fantasy è un gioco tra fiction e non fiction: così come fece The Blair Witch Project, ci si addentra in spazi reali che conservano il mistero e il mezzo stesso di realizzazione resta ambiguo. Un documentario non documentario.
Il regista cerca di riportare sullo schermo, attraverso diversi linguaggi (la diretta da uno smartphone, la mappa che indica il percorso, le intervista con classiche talking heads, il videoclip, lo schermo di un computer, la GoPro posizionata su un’anatra) la verità della finzione stessa. Si riflette sulla contemporaneità con i dispositivi che filtrano la realtà e la rimandano allo spettatore lasciando il dubbio di presenze ectoplasmatiche, di credenze o di misteri mai risolti. Il secondo lungometraggio di Chenliang Zhu è un piccolo gioiello che dialoga sapientemente con il nostro tempo. Le immagini di quei luoghi decadenti e abbandonati rimandano a una certa cultura del web, come i liminal spaces o l’estetica delle trap house, ma allo stesso tempo ci parla della Cina e della sua cultura millenaria, dove aleggia il soprannaturale. Diviso perciò tra spiritualità e tecnologia, Parklands of Decay and Fantasy è un’opera che va oltre il cinema e si prolunga su altri supporti ed espedienti, frammentario eppure solido in una struttura che percorre un percorso impossibile e impraticabile. Dove ci porta? Verso quell’aldilà che ogni giorno osserviamo dai nostri schermi.