Speciale MUBI / Les chansons d'amour
Il film di Cristophe Honoré disponibile su MUBI è una rêverie a cui abbandonarsi, un flusso di pensieri in grado di risvegliare i più personali fantasmi interiori.
[Questo articolo fa parte di uno Speciale dedicato alla piattaforma di streaming on demand MUBI, un focus monografico composta da una galleria di recensioni contaminate da riflessioni teoriche, emotive, autobiografiche, per riflettere trasversalmente sul tema della cinefilia on demand e sul più generale rapporto che intessiamo oggi con le immagini. Il progetto è stato presentato e inquadrato nell'editoriale "Di MUBI e del nome del cinema", che potete trovare qui].
Sulle rive della Senna,
giovani ragazzi a mezzogiorno
Michel con Madeleine, Pierre
con Jeanne e Germaine
che cammina con Jean.
Se il cielo è pieno di uccelli,
cosa ti importa
del fuoco che brucia all’inferno?
Nel suo Saggio sul luogo tranquillo Peter Handke sostiene che, senza alcuna intenzione né tanto meno progetto, i luoghi tranquilli si possano creare attingendo da sé stessi, a seconda delle circostanze, in mezzo a un tumulto (anzi, proprio nel pieno del tumulto) o tra le chiacchiere a volte incomparabilmente più avvilenti per lo spirito. Luoghi simili si ergono all’improvviso, dal nulla, e offrono una protezione mentre si è intenti in altre attività esperienziali. Alle volte, accade qualcosa del genere non necessariamente durante un’esperienza ma grazie al puro ricordo di essa.
Capita così che, durante un viaggio di ritorno verso casa, gli spazi poco accoglienti di un treno si trasformino nel prototipo del luogo tranquillo, animato dal fuoco ormai spento di chi cerca nel futuro indefinito il desiderio di riabbracciare il passato o dall’indistinta energia vitale di chi, indefesso, confida sempre nei giorni a venire. Quelle persone a cui, normalmente, si guarderebbe con diffidenza e con la speranza che non intacchino la nostra sfera privata restituiscono una sensazione di approdo, di accoglienza e di familiarità. Possibile dopo quanto accaduto? Necessario e sorprendente. E, così, in quell’ora mattutina, il treno diventa un luogo unico, quasi impareggiabile, scenario privilegiato e condiviso dal quale ammirare i flussi segreti delle onde. Quel luogo ha curato la mia vulnerabilità, mi ha entusiasmato, ha illuminato la penombra crepuscolare del mio intimo. Possibile che quel luogo tranquillo fosse tale in virtù di una (di certo, paradossale) fuga dalla società, di una riluttanza e di una parziale sofferenza verso ogni compagnia? O, piuttosto, è sensato credere che i rumori provenienti dal mondo di fuori – la vibrazione del treno in corsa, il chiacchiericcio dei compagni di viaggio, i ripetuti annunci agli altoparlanti – non siano altro che tracce in grado di risvegliare da lunghe fantasticherie? In tal senso, il luogo tranquillo sarebbe in grado di spingere dentro di sé a causa del suo statuto ontologico e, al tempo stesso, di cullare verso l’esterno, grazie al rumore, al frastuono e al chiasso del fuori campo, che continuamente insiste sui suoi confini. Anche il cinema, indipendentemente dal suo supporto di fruizione, è un luogo tranquillo.
Durante quelle due ore di quiete e di rinascita sono stato accompagnato dalla visione di Les chansons d’amour, distribuito online da MUBI, servizio di Video on Demand ideato nel 2007 all’interno di un bar, ulteriore luogo a cui l’immaginario collettivo accosta senza difficoltà l’aggettivo tranquillo. MUBI è considerato come il rifugio dei cinefili, una nicchia in cui godere di visioni e amori festivalieri mai distribuiti altrove, uno spazio protetto rigorosamente pensato e catalogato, un modo attraverso cui superare il conservatorismo di chi, ancora, guarda di sbieco allo streaming, e dare vita a un consapevole ed educativo (ri)circolo culturale, non una comfort zone ma uno spazio a partire dal quale ripensare criticamente la realtà.
Il film di Christophe Honoré è un musical – genere da sempre aperto alla fantasticheria. La sua nazionalità, poi, concorre a una flânerie quasi genetica e a una naturale predisposizione a narrare vicende di camminatori solitari. Un personaggio di tale genere è Ismael, vittima di due fantasmi: Julie è la sua amata, una ragazza sognatrice ma malinconica e ben disposta a condividere il fidanzato con l’amica Alice, il secondo fantôme. All’improvviso, però, Julie muore e Ismael sarà costretto a prendere una serie di decisioni sofferte e ad abbracciare un percorso di vita diverso da quello preventivato.
Probabilmente, è del tutto impossibile non innamorarsi di una passeggiata filmica come Les chansons d’amour nel corso di un viaggio in treno durante il quale riabbracciare, finalmente, il mondo esterno. Le luci di notte, la foschia mattutina, la neve al tramonto, le strade bagnate dalla pioggia, i cafè e i cinema diventano gli spazi di un persistente nomadismo che si nutre di un desiderio destinato a non trovare mai il suo compimento. Le peregrinazioni sentimentali dei personaggi sono sospese tra gioia e tristezza e si riflettono in continue interazioni tra parole e musica, dove le canzoni sono filmate come stacchi provvisori e flussi di coscienza che donano a Ismael, Julie e Alice la possibilità di abbandonare la loro afasia e rifugiarsi in un luogo tranquillo. Un film del genere rischia di non uscire indenne dalla potenziale accusa di snobismo intellettuale e di pretenziosità. Tuttavia, nella mia situazione di viaggiatore in preda a tremori sentimentali di natura autistica, i tre protagonisti del film mi hanno accompagnato dal mutismo della timorosa partenza al ritorno del linguaggio e delle parole – di certo non in preda a un volteggio musicale. La scomparsa nel luogo tranquillo e l’esperienza di profondità così ammutolite e isolate hanno depurato la sorgente del linguaggio, restituendomi parole nuove e una sconosciuta voglia di condividere con gli altri.
Anche il cinema casalingo può (ancora) adempiere a una funzione del genere: non chiusura in sé ma ulteriore pretesto al dialogo con il nostro intimo e con l’altro, restituzione del soggetto alla storia e introiezione di una mappa critica attraverso cui orientarsi nel presente. D’altronde, qualsiasi visione è dettata dalla somma di tante piccole sensazioni individuali e collettive e ogni luogo tranquillo è una vertigine sensoriale che arricchisce un cammino che, altrimenti, nella nostra contemporaneità, rischia di essere sempre più privo di appigli.