L’epifania… tutte le feste si porta via… Conscio dei quasi venti giorni di jetlag l’anno dei Maya inizia come vuole la tradizione, buttando via ciò che vecchio è… per afferrare quello che nuovo sarà. Governi, poltrone, commissioni, stati, paesi… Da un festival ad un altro, da una commissione ministeriale ad una trasmissione televisiva, il nostro bel paese immane e immune persiste sotto l’inesorabile avanzare degli eventi. Nonostante il bel pensiero del profeta capo d’industria il sistema cinematografico italiano segna un’inevitabile flessione, meno biglietti, meno incassi, meno tutto. Che ci si trovi al nord o al sud, dinamiche e logiche funzionano oggi come ieri. Croce e delizia. Dal panettone agli intrighi internazionali veniamo al nostro affezionato Lorenzo Lepori che questa volta ci fa assaggiare – è proprio il caso di dirlo – il suo Cinque Cerchi Roventi.
Un uomo distinto, serio e – magari – annoiato professionista si trasforma, nella sua intimità, in un depravato maniaco. Per raggiungere i suoi viscidi scopi sfrutta una coppia di tossici, soggiogati dal desiderio e dalla dipendenza… usarli, sfruttarli, picchiarli, in un impeto orgasmico che lo conduce alla passione con la quale, poi, ama ritrarre con una polaroid le sue vittime durante i suoi incontri diciamo amorosi. Pene inflitte, colpi mancini, fino a giungere al culmine del desiderio attraverso delle bruciature inflitte con sigaro. Il nostro estremo protagonista intrattiene infine una relazione con una misteriosa donna, mistica e infernale, che ne segnerà il destino. Come i precedenti anche quest’opera si avvale della collaborazione di attori assolutamente non professionisti per giungere alla realizzazione di film assolutamente amatoriale, anch’esso non avaro di effetti speciali, in pieno stile gore & splatter.
Terzo lavoro del regista toscano, Cinque Cerchi Roventi ribadisce l’essere fuori da schemi e metodiche industriali, volutamente indipendente volge forse più dei precedenti lavori in una essenzialità quasi casalinga. Corpi tumefatti e denigrati protagonisti in una rimembranza – forse omaggio – ad elaborazioni metafisiche vicine a Cronenberg e finemente tendenti ad un nipponico uomo d’acciaio. Una finalizzazione per giunta breve, questa volta, che supera di poco la mezz’ora, ma densa di lacrime e sangue non meno delle passate esperienze.
Non un capolavoro. Assolutamente. Ma arrivati fin qui valgono sempre le considerazioni espresse precedentemente come in occasione delle riflessioni circa I Love You Like A Twist quanto Il Vangelo Secondo Taddeo. La sua ridotta durata lo discosta dunque dai sopracitati film: si percepisce una mancata risoluzione dell’opera. Eccessivamente asciutta, scarna nell’essenza lascia travisare una non compiutezza formale ed realizzativa della stessa. Negli intenti – salvifica consolazione – il coraggio di osare con l’altro, con il diverso, con un corpus comunque che cerca e trova un suo seguito nascosto ma profondo all’interno del web, nel sommerso. Forse nel nuovo, nella tecnologia, nel diverso, in spazi e campi lontani dal vecchio pensare il cinema.