Corpi
Film che affronta il corpo come modo di essere nel mondo, mischiando presenze fisiche completamente differenti, fra cadaveri, fantasmi, figlie anoressiche e padri sovrappeso
Olga è un’adolescente che si rifiuta di mangiare. Suo padre, Janusz, è un procuratore di polizia abituato a vedere cadaveri ogni giorno. La terapista di Olga, Anna, in privato presta conforto come medium degli spiriti dei morti. Non a caso dunque il nuovo film di Malgorzata Szumowska si chiama Corpi: gli oggetti carnali, come gli spiriti disincarnati, abbondano in quest’opera surreale e ironica che mischia fantasmi a fisici scheletrici. Il corpo, lungi dal essere qui facilmente definito come la pelle che ogni individuo indossa, si concretizza come un problema dell’essere nel mondo. Se un cadavere in un certo senso è ciò che rimane di qualcuno che se ne è andato via, l’anoressia estremizza invece il desiderio di sparire; la morte però non riesce sempre a costituire una definitiva assenza, poiché è questa mancanza stessa che assume il valore di oggetto del ricordo, imponendosi come presenza.
Janusz vede ogni giorno persone brutalmente assassinate, studia le fotografie talvolta macabre dei loro corpi macellati: nessun terrore, nessuna vertigine lo assale in quei momenti, nemmeno quando in un bagno pubblico vengono ritrovati i resti di un neonato fatto a pezzi. Eppure non riesce a relazionarsi col corpo macilento e altrettanto spaventoso della figlia che si assottiglia ogni giorno di più, cerca di tenerla ricoverata in ospedale per non averci nulla a che fare. D’altro canto Olga disprezza il padre che ritiene responsabile dell’infelicità della madre morta qualche anno prima, si disgusta alla vista della sua pancia strabordante e della sua incontinenza alcolica, cui risponde annullando la propria fame e cercando letteralmente di scomparire pian piano dal mondo. Anna è il tramite di questi corpi scomparsi o sul punto di esserlo: sia nel mestiere di terapeuta che di medium – molto intelligentemente la regista non ci svela se i suoi poteri paranormali siano reali o solo immaginati – il suo compito è di dar voce a chi è assente, di concretizzare i suoi pensieri scrivendoli in uno stato di trance o invitando le sue pazienti a emettere l’urlo che reprimono da troppo tempo. In poche parole, Anna dà corpo a ciò che è incorporeo.
Ciò assume un valore fondamentale nel momento in cui la psicologa si offre di mettere in contatto padre e figlia con lo spirito della moglie/madre morta: in realtà, indipendentemente dalla riuscita o meno di questo tentativo, ciò che conta è registrare l’assoluta varietà di “presenze” nel film. La madre di Olga è morta ma non per questo scomparsa dalle vite di Janusz e Olga, e forse è proprio nell’accettazione di questa assenza presente, fantasma della memoria più che fenomeno soprannaturale, che è possibile trovare sollievo dalla dolorosa contraddizione di sentire fortissimamente la presenza di qualcosa che non c’è più. Essere e allo stesso tempo non essere può apparire un concetto insensato, pertanto non stupisce il tono assurdo e divertito con cui Corpi racconta queste presenze e assenze allo stesso tempo ingombranti e impercettibili. Imparare a vederle significa scegliere di posare lo sguardo su ciò che alla fine riempie la nostra vita, e riconoscerlo come presente. A volte è il vuoto crescente della nostra solitudine, a volte il ricordo di qualcuno che abbiamo amato; e a volte, è semplicemente una persona che non guardiamo veramente negli occhi da troppo tempo.