Longlegs

di Osgood Perkins

Lo sguardo orrorifico di Perkins si confronta con i film di serial killer trovando finalmente un punto di incontro tra racconto e ricercatezza formale.

Longlegs - recensione film perkins

Oregon, anni '90. Grazie alle sue capacità fuori dall'ordinario, alla giovane agente dell'FBI Lee Harker (la Maika Monroe di It Follows e Watcher) viene assegnato un caso decennale riguardante una serie di omicidi-suicidi apparentemente irrelati ma che lascerebbero supporre una stessa, inquietante regia. Su ogni scena del crimine è stato rinvenuto infatti un misterioso messaggio in codice firmato sempre con lo stesso nome: Longlegs.

C'erano una volta i film di serial killer. Una stagione unica, capace, nel giro di qualche anno, di regalarci titoli come Il silenzio degli innocenti, Seven o Cure. Film caratterizzati, ognuno a modo suo, da un fascino malsano e perturbante in grado di dar vita a un vero e proprio filone. È proprio a quella manciata di film, a quell'estetica e all'idea di un Male come “effetto senza causa” che sembra guardare Oz Perkins per il suo Longlegs, ambientando la vicenda proprio negli anni novanta del “Satanic Panic” e trasformando quei modelli in una favola nerissima destinata a sconfinare ben presto nell'horror puro. Che sia pur sempre una favola, del resto, quella di Longlegs, il regista di Gretel e Hansel pare farcelo capire sin da subito, imbastendo una storia di figli smarriti e padri omicidi, presenze oscure (“l'Uomo di sotto”) e fantasmi del passato, dove il mostro (un Nicolas Cage la cui recitazione sopra le righe qui si sposa perfettamente alla vicenda) pare quasi una degenerazione del Geppetto collodiano, un antagonista capace di insinuare il suo Pinocchio all'interno dell'istituzione famigliare, pervertendola.

Abbandonate le derive folk horror del precedente film, Perkins sembra così imprimere una svolta inedita al suo cinema, portando con sé alcuni elementi ricorrenti ma riadattandoli e ridefinendoli attraverso una sensibilità nuova. Sebbene a tratti la visione risulti infatti ancora appesantita, se non pretenziosa, è indubbio come quell'estetismo insistito ed esasperato sembri qui capace di andare oltre la superficie, oltre la facile sensazione garantita da immagini suggestive e minuziosamente costruite. Ben consapevole (questa volta, almeno) che evocare un'atmosfera non basta a fare un film, Perkins sembra così abbandonare mode e riletture furbesche in favore di una sceneggiatura (firmata in solitaria) davvero originale e perturbante, trovando, finalmente, un malsano equilibrio tra parola e immagini.

Mentre "Get It On" dei T. Rex suona in sottofondo (“You've got the teeth of the Hydra upon you...”) e i personaggi, ingabbiati in quadri fissi e implacabili, arrancano senza speranza ne fede (“le preghiere mi spaventano”, dice Lee alla madre), prende così forma un mondo fatto di riti satanici e padri degeneri, vittime inconsapevoli e carnefici improbabili. Una realtà dove il trauma diventa il veicolo perfetto per un Male sfuggente e dai tratti soprannaturali. Un Male sempre pronto a emergere come un'ombra dai margini dell'inquadratura, nascosto in bella vista all'interno di immagini e immaginari apparentemente ben codificati. È così che il crime finisce con lo smarrirsi dentro i tempi e i modi di un horror perturbante e malsano, tanto estenuante nella sua messa in scena e nei silenzi insistiti della sua protagonista (brava Monroe a rendere un personaggio incapace di venire a patti col proprio rimosso), quanto immediato per l'orrore – enigmatico e universale a un tempo – che sottende.

Autore: Mattia Caruso
Pubblicato il 16/10/2024
USA 2024
Durata: 101 minuti

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