Giurato Numero 2

di Clint Eastwood

Forse per la prima volta Clint Eastwood non ha risposte semplici e questo lucidissimo pamphlet sul ruolo e sull'importanza della verità oggi finisce per portare in campo una verità abissale: inutile tentare di educare alla giustizia una società irrimediabilmente bugiarda

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Per alcuni Giurato Numero 2 è il film testamento di Clint Eastwood, il suo atto finale da regista. Non ci interessa, in realtà, sapere se sia vero o no, è possibile, però, che a volte certe storie si nutrono anche di suggestioni, dettagli, auto convinzioni. E allora può capitare che qualcosa risalti sullo sfondo e finisca, comunque, per dettare il passo non solo del film ma anche dei tentativi di lettura che se ne danno. 

Forse Giurato Numero 2 non sarà l’ultimo film di Clint Eastwood ma certamente è quello maggiormente animato da un’urgenza finale, dal desiderio di chiudere certi ragionamenti e tornare all’origine delle cose. Non è probabilmente un caso se Giurato Numero 2 sia un film fondato su temi universali e dichiarati come tali fin dalla prima inquadratura: il bene contro il male, la verità contro la menzogna, la civiltà della responsabilità e la barbarie dell’impunità a ogni costo, il buio e la luce.

Colpisce, certo, come spesso accade in Eastwood, la straordinaria modernità del ragionamento che sviluppa quei temi, la piega argomentativa che interroga, prima di ogni altra cosa (e proprio ora nell’epoca dell’opacità), la nostra capacità, tutta analogica, di vedere ciò che ci circonda e di capire la posizione della verità al di là di qualsiasi pregiudizio. Alcuni hanno individuato più di una continuità tra il mite Justin Kemp, giornalista di provincia che dall’oggi al domani, si ritrova a partecipare come giurato popolare ad un processo per giudicare un imputato accusato però di un omicidio che in realtà ha compiuto proprio lui e lo straordinario protagonista di Trap: entrambi sono narratori inaffidabili delle loro storie, entrambi, soprattutto, sembrano possedere la peculiare capacità di vedere chiaramente un contesto che per tutti mostra un aspetto solo parziale, entrambi sembrano bloccati in un’ideologia borghese che poi, alla lunga, segnerà la loro condanna. L’inconsapevole dialogo con il film di Shyamalan è affascinante ma è evidente che a distanziare irrimediabilmente i due film sono proprio i modi in cui quest’indagine umana viene sviluppata. Se il gioco di Trap è scoperto, ironico, felicemente grottesco a tratti, il film di Eastwood è prevedibilmente calvinista nell’approccio: asciutto, didattico, leggibile, quasi a voler dire che sulla verità, su temi di questo tipo, non si può scherzare, non è ammissibile. 

Sceglie piuttosto un respiro monacale Giurato Numero 2, che chiude nelle quattro mura del tribunale e della sala della giuria un racconto dalla struttura diretta, semplice, priva di doppi giochi, depistaggi, consapevole, forse, che già il peso specifico del punto di vista orientato del protagonista è abbastanza per movimentare il racconto al punto da farlo deragliare se si aggiungono ulteriori livelli di lettura.  

C’è però paradossalmente, a reggere la narrazione, un respiro evidente da favola morale, da saggio etico, da allegoria che prevedibilmente prende il tema e lo disperde nel racconto, lo anticipa, fa presagire certe linee della lezione sottesa al film nell’atteggiamento di certi personaggi, ne smonta criticamente le componenti per rimontarle, con consapevolezza, nell’inquadratura successiva. 

“Inventati una balla per non affrontare il processo”, consiglierà la moglie di Justin, all’oscuro di tutto, al marito, all’inizio del film, come a voler portare in primo piano fin dalle prime scene la facilità con cui la verità può essere messa in discussione, malgrado lo stesso giudice, qualche sequenza dopo, metterà in chiaro quanto proprio quel processo sarà l’unico modo comprovato per scoprire come sono andate le cose quella sera (senza accorgersi che il vero imputato è seduto nel banco sbagliato). 

Forse il coraggio di Eastwood è allora soprattutto nel girare a 94 anni un film su temi esistenziali così centrali riconoscendo però, lui per primo, che ormai si fa fatica ad affrontare discorsi del genere senza ammettere la crisi profonda di quegli stessi temi, ridotti a spunti vuoti, parte di una sorta di rituale performativo, come tradisce, forse, lo stesso Justin, che passerà le prime riunioni con la giuria a provare a far tornare i suoi colleghi sui loro passi ma, in prospettiva, senza troppa convinzione. 

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Forse è tutta questione di punto di vista, forse il centro di ogni discorso di Giurato Numero 2 non è tanto nel suo protagonista ma nella stessa giuria, ben più abissale, a ben vedere, dei 12 Angry Men di Lumet. 

È un film sul bisogno di verità, quello di Eastwood, ma forse, tra le righe è anche e soprattutto un film su una nazione irrimediabilmente bugiarda, dominata dai pregiudizi, dai bias di conferma (spiazzante che il primo che inizi a sospettare di Justin sia il giurato afroamericano, membro di un gruppo sociale vittima spessissimo di racial profiling pregiudizionevole), incapace di leggere ciò che la circonda ma anche solo di prendere seriamente i ruoli che rappresenta (“Guilty Is Cool”, dirà, frettolosamente, uno dei giurati durante una delle votazioni, come a voler smaltire una scomoda pratica). 

Ma la patologia è ben inscritta, ovvio, nell’atteggiamento dello stesso protagonista, che si ostina a rimanere sulle sue posizioni, a rimarcare quanto la verità, a volte, non corrisponda necessariamente alla giustizia che si intestardisce ad avere due piedi in una scarpa, a vestire i panni del cittadino responsabile ma anche del criminale impunito. 

Non stupisce, probabilmente, che quello interpretato da Nicholas Hoult sia il primo personaggio del cinema recente di Eastwood con cui è difficile entrare davvero in empatia: lo comprendi, evidentemente, quando racconta il suo passato, quando ricostruisce la sera dell’incidente e si sofferma sui motivi che l’hanno condotto in quel bar, ma poi te ne allontani, anche un po’ stizzito, quando si impunta in certi capricci. 

È un meccanismo in pezzi, quello di Giurato Numero 2, che non a caso fatica a chiudersi, a trovare una via di pacificazione, che finisce tutta fuori campo, in quello straordinario campo/controcampo di chiusura che assomma in sé (senza mostrare) la verità, la risoluzione dell’omicidio, forse anche la dissoluzione della famiglia borghese. 

Probabilmente, ancora, l’unica consolazione possibile, per Justin ma anche per noi, radicale, paradossale, è che l’America è bugiarda quanto lui, quindi perché cercare di impegnarsi a fare davvero la cosa giusta?

Autore: Alessio Baronci
Pubblicato il 02/12/2024
USA 2024
Durata: 114 minuti

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