Via dalla pazza folla
FIlm didascalico che sa però trarre vantaggio della trama avvincente dell'omonimo romanzo di Thomas Hardy
All’inizio di Via dalla pazza folla la protagonista, Bathsheba Everdene si descrive come “troppo indipendente”. Visto il contesto in cui si muove, l’Inghilterra rurale di fine Ottocento, quel “troppo” è perfettamente comprensibile, ma Bathsebea non se ne cura: ereditata la fattoria di suo zio, è intenzionata a farne un’azienda fiorente di cui sarà, senza alcun marito in mezzo, la padrona. Difatti la giovane rifiuta tutti gli appassionati pretendenti, dal fedele pastore Gabriel Oak, al distinto vicino William Bolwood, accomunati dall’incapacità di fare una richiesta di matrimonio senza citare il nutrito numero di oggetti che saranno garantiti alla sposa. Cederà all’unico che le prometterà passione, il tenebroso tenente Troy. Dietro la maschera di uomo dissoluto, il neo marito nasconde però un passato sentimentale straziante.
Il topos narrativo centrale nel romanzo di Thomas Hardy, da cui il regista Thomas Vinterberg ha tratto questo nuovo adattamento cinematografico – famoso quello del 1967 di John Schlesinger – riguarda le difficoltà di una giovane ragazza molto intelligente ed emancipata, nel realizzare concretamente il proprio ideale di esistenza autodeterminata, con tutti gli ostacoli che ne possono derivare: come quello di sposare l’uomo sbagliato. Le vicende di Bathsheba riecheggiano quelle di Dorothea di Middlemarch di George Eliot, e di Isabel del Ritratto di signora di Henry James: donne acute, profonde, ricche di ideali, che però riescono a trovare se stesse solo dopo una scelta (matrimoniale) sbagliata. L’abbandono di Bathsheba alla sensualità rappresenta però anche il momento di passaggio cruciale, per l’epoca rivoluzionario, in cui la ragazza accetta prima il proprio desiderio sessuale, e poi le scelte irrazionali che questo può sempre spingere a fare.
Al tema della crescita individuale Hardy aggiunge una trama ricca di colpi di scena ed eventi drammatici, ed è su questa appassionata intelaiatura narrativa che si muove Via dalla pazza folla; senza però aggiungere nient’altro. Il merito di tenere accesa l’attenzione del pubblico non sta nel film, ma nella storia da cui è tratto. Tutto sommato, Vinteberg si accontenta di assicurare alla sua opera il respiro estetico di un affettato romanzo storico, ed è forse qui che si cela la pesantezza didascalica che affossa la storia e mantiene fermi a guardare fino alla fine solo allo scopo di conoscere l’esito delle vicende dei personaggi. A farne le peggiori spese è il fascinoso Troy, sulla carta personaggio tragico dedito all’autodistruzione a causa dell’abbandono del suo primo amore, trasposto sul grande schermo come un viscido seduttore dalle movenze ammiccanti.
Via dalla pazza folla può allora piacere solo nella misura in cui sa soddisfare le richieste di un pubblico interessato ad essere intrattenuto dalla classica storia d’amore contrastata da incomprensioni ed eventi imprevedibili. Benché lo stile visivo sembri voler accentuare la natura esteriormente sentimentale della storia, senza compensarla con una medesima forza emotiva – e non a caso Bathsheba rischia spesso di apparire, più che l’eroina, un personaggio capriccioso – il film racconta quella che in effetti è davvero una bella storia d’amore e di crescita, rivelandosi almeno, se non un’occasione sprecata, un buon modo di passare il tempo; tanto meglio se almeno servirà a far leggere un classico della letteratura.