Weeeping on a Pile Carpet
Un racconto cyber-romance di una coppia di umani dalle fattezze e atteggiamenti extraterrestri.
Vincitore ad Asolo nella categoria Post Internet Art, Weeping on a Pile Carpet di Désirée Nakouzi De Monte e Andrea Parenti è un cortometraggio che cerca di far addentrare lo spettatore in un qualcosa di più vicino a un incubo cibernetico che alla realtà, trascinando qui guarda in un microcosmo sospeso, in un tempo che incede per istantanee di immagini e fotografie che spezzano il ritmo già flemmatico della narrazione; o per improvvisi baluginii di senso derivati dalla vista e poi dall’utilizzo di un computer, un cellulare, una videocamera. Tutti non a caso oggetti-feticcio di cui i personaggi non possono fare a meno per comunicare: il cortometraggio è scandito in due momenti, in cui rispettivamente una ragazza e un ragazzo sembra si scambino video della loro quotidiana e “logora” intimità, riprendendo(si) dal di fuori e dal di dentro. Quasi fosse l’unico modo per testimoniare al mondo e a loro stessi il proprio esserci. In questo senso non è semplice chiarirsi l’entità di un prodotto così respingente, anche eccentrico, quantomeno nella forma, senza dialoghi o parlato e con un sonoro straniante ed elettronico, risultando quindi assai complesso decifrarne il codice espressivo, capirne il significato, la teoria dietro l’immagine così ruvida, madida. Ci si domanda poi che cosa i due protagonisti vogliano dirsi e dire, se si tratti di nostalgia, mancanza, impossibilità di incontrarsi, plasmando così lo spazio e il tempo lasciati vuoti dalla lontananza attraverso un mondo immaginario, di comunicazione inter-specie e pratiche feticistiche, con i rispettivi corpi che sono come patchwork di frammenti giustapposti, ricuciti.
È possibile però che Weeeping on a Pile Carpet voglia trasmettere nient’altro che ciò che si vede, senza una particolare ricerca di profondità. Non c’è nulla dietro quei (non a caso) neri occhi privi di pupille ed espressione, solo un vuoto che li rende simili e sostituibili, automi. La videocamera si insinua infatti prima sui rispettivi volti esangui, quasi da vampiri, non umani, percorrendone i tratti estremamente da vicino, e poi sugli oggetti, su epidermidi diafane con occhi stralunati o grondanti di glitter, sui pavimenti sporchi, sugli ambienti claustrofobici. Nonostante ci sia un momento in cui ci allontana da questa dimensione domestica alienante i due la percepiscono tuttavia come unica possibile, sentendosi perfettamente a loro agio all’interno dei suoi confini, non desiderando mai uscirne, mai incontrarsi, toccarsi.