Fuori dalla stereotipizzazione e dentro al lavorio teatrale sul personaggio, nel verso sciolto che diventa immagine per il declamatore, nel quale immergersi per non affogare nell’anonimato. Parole selvagge per persone indocili. Atti teatrali da urlare a sguarciagola nei portici di città resistenti, atti di frizione poetica per attriti consapevoli del peso di ogni singolo verso pronunciato. Nel mezzo della pratica teatrale sperimentale del Teatro Valdoca di Cesare Ronconi e di Mariangela Gualtieri, Ana Shametaj si muove con passo felpato, docile tra gli indocili. E’ negli spazi della residenza teatrale L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino che un gruppo di ragazzi sperimenta tutta la potenza del training teatrale, libera enunciazione di un’armonia psicologica, ecologica, culturale, intellettuale ed artistica. Sito per un’arte aperta, onnicomprensiva, trasparente come le vetrate della dimora che includono nello spazio interno l’esterno, l’aperto, la natura che è parte di noi. In ogni individuo c’è un artista, con questo famosissimo motto l’artista tedesco Joseph Beuys definisce la sua utopia di scultura sociale. Una definizione che induce l’individuo a farsi parte integrante di una processualità in grado di modellare se stessi, e di conseguenza la società, nella capacità di creare un gesto artistico in comunità con la natura. E’ proprio di questa forza invisibile, sottesa, che il documentario Wild Words – Gli indocili si fa schermo ed obiettivo comprensivo, canale attraverso il quale riprendere e riportare l’allenamento, in un movimento diaristico e quotidiano; una regia che si sottrae allo sguardo scultoreo per portare all’attenzione i personaggi, i ragazzi, come nei racconti in terza persona che essi stessi producono al mattino. Sono loro, gli indocili, loro che nello spazio e nel tempo della grammatica cinematografica, montata da Jacopo Quadri - figlio del critico teatrale Franco Quadri e per il quale fa proseguire il suo interesse nei confronti dell’espressione teatrale nel suo perscorso nel cinema documentario - a divenire esseri viventi, consapevoli di un’identità straripante, urlante in corpi sinuosi, flessibile in parole “inadeguate”, giovani espressioni di una plasticità che solo nella venata messa in scena si possono cristallizzare. Come una necessaria espressività che viene dal di dentro e che vuole presentarsi, agli altri, all’esterno, in un soffio vitale che percorre le sale del teatro, che insegue i corpi indocili dei ragazzi che fuggono nella natura, da loro stessi, dai loro corpi e dalle loro identità, per ritrovarsi nei versi sfuggenti di un’organicità espressiva e naturalistica. Per togliersi la scorza della maschera sociale, per scarnificarsi dalla polvere che opprime l’identità, per raggiungere la fluidità, l’essenza e il grido di un’identità nuova, teatrale, libera e pura.
Prodotto da Ubulibri, storica casa editrice nata proprio dall’iniziativa di Franco Quadri, e da sempre interessata all’avanguardia teatrale, e cinematografica, il documentario di Ana Shametaj, a cui viene assegnato il Gran Premio Asolo, è un’operazione contemplativa di un’azione collettiva in un luogo specifico, un’ampolla di libertà creativa ed artistica immersa nelle verdi colline emiliane.