Kemp. My best dance is yet to come
Menzione Speciale La Festa di Cinema del Reale - Asolo Art Film Festival 2019
“No art is superior to another one, but every art looks for expertise and perfection. This is life, which continues; this is why there is no death. There is continuation. There is no silence. There is a continuation of thought.” In questo pensiero di Marcel Marceau potrebbe racchiudersi l’essenza della vita di Lindsay Kemp. Sarebbe estremamente complesso riuscire a categorizzare il senso del lavoro proposto dall’artista britannico nel corso della sua vita. Ballerino, mimo, coreografo, regista, attore: il suo è un percorso artistico pensato e realizzato al fine di rinnovare e potenziare l’Arte stessa, che non trova né ostacoli né gabbie politiche, ideologiche e sociali. Kemp attraversa i campi della sperimentazione, la visione onirica, il gusto dell’eccesso e la narrazione mimica; ne fa proprie le radici più profonde per poi restituirle in opere che, pur se difficilmente assimilabili ad altre analoghe (o, forse, proprio per questo), ipnotizzano lo spettatore e lo rigettano, simbolicamente, in uno stato arcaico e primitivo dell’esistenza.
Nell’arte di Kemp sembrano vivere due realtà osmotiche e contrapposte al tempo stesso: da un lato si fa strada la sensazione di aver già visto e vissuto l’opera che si sta osservando, mentre dall’altro si percepisce di essere dinnanzi a qualcosa di innovativo, embrionale, mai incontrato in queste sembianze. Dalla sperimentazione di Derek Jarman e Ken Russel all’onirismo di Werner Herzog e Klaus Kinski; dall’opera rock e glam di David Bowie all’Horror Vacui di Carmelo Bene, fino ad aprirsi alla Trilogia della Vita di Pasolini e alla sua successiva eresia visionaria Salò o le 120 giornate di Sodoma. Tutto è presente all’interno della poetica di Kemp ma, allo stesso tempo, nulla è ripetuto; un ciclo in costante evoluzione, che porta il pubblico a (ri)vivere emozioni quasi primordiali.
Edoardo Gabbriellini è volto noto del cinema italiano: attore per Virzì (Ovosodo, Baci e abbracci, Tutta la vita davanti), Guadagnino (Io sono l’amore) e Gianni Zanasi (Non pensarci), ha avuto già modo, in passato, di vestire i panni di regista (B.B. e il cormorano e Padroni di casa). Ciò che colpisce positivamente nel suo documentario Kemp. My best dance is yet to come è la totale assenza di didascalismo e classicismo di genere. Gabbriellini elude la “cronistoria d’artista” ed evita la ricerca di altri personaggi che a Kemp si sono ispirati, per concentrarsi sul percorso artistico raccontato in prima persona. Poche le informazioni biografiche che emergono (la nascita sull’isola scozzese Lewis e Harris, il padre marinaio, la madre da lui stesso definita una “party girl”, la ricerca di ispirazione in alcol e LSD), semplice corredo alla sua opera.
La narrazione di Gabbriellini è asciutta e diretta, sintetica (63 minuti la durata del film) ed estremamente curata nel montaggio, che alterna interviste all’artista con ricche sequenze di repertorio. La sua macchina da presa è quasi del tutto impercettibile: all’interno della casa livornese di Kemp (alcova dei suoi ultimi anni di vita), fin dalle prime immagini lo spettatore viene trasportato in un mondo onirico, sperimentale e frammentato.
Quello che emerge, infine, è un ritratto intimo ed essenziale: chi osserva è invitato nel soggiorno vittoriano di casa Kemp e non può fare altro che restare affascinato da un racconto che, dopo un’iniziale predisporsi verso lo spettatore, sembra (auto)rivolgersi al narratore stesso come se si fosse di fronte a uno specchio, o – misteriosamente - ad un Io passato.
Kemp. My best dance is yet to come è un lavoro prezioso e completo, che permette di comprendere al meglio Lindsay Kemp e di osservare il suo multiforme operato, la sua fantasiosa sperimentazione e la sua arte rivoluzionaria che, come nutrendosi di input dal sapore primordiale, interrogando e provocando costantemente lo spettatore, si fa viva e diviene specchio dell’Arte stessa.