Diamante Nero

Céline Sciamma torna a raccontare l'esperienza moderna della femminilità attraverso l'evoluzione quasi schizofrenica di un'adolescente della banlieue francese

Negli ultimi anni l’interesse del cinema per la periferia urbana ha rivelato le contraddizioni di una società ormai conquistata dalla modernità tecnologica e oltremodo capace di crearsi una propria sottocultura indipendente, ma allo stesso tempo ancora vittima di logiche comunitarie retrograde e limitate. Diamante Nero parte dalla banlieue francese per raccontare la storia di un’adolescente che si scopre ben più complessa del ruolo che il suo ambiente sociale le prescrive. Marieme, pluribocciata a scuola, vessata a casa da un fratello maggiore che le fa da padre padrone, respira il primo alito di libertà quando diventa il quarto elemento di un gruppo di ragazze decise a vivere la propria giovinezza nel modo più aperto possibile. Ma è proprio quando i suoi orizzonti si allargano che comprende quante cose il suo ambiente continui a negarle: ad esempio il diritto di andare a letto con chi desidera senza doversi scusare con nessuno.

I molteplici caratteri della femminilità, e la sua costrizione dentro un codice sociale assai più limitato, sono il tema costante del cinema di Céline Sciamma, che con Diamante Nero torna con maggior forza a riflettere sul rapporto odierno fra una personalissima identità e la sua apparenza sociale. Nel suo ultimo film, Tomboy, la regista francese aveva delineato i tratti di una bambina costretta a fingersi maschio con i suoi amici per poter amare liberamente una coetanea, mentre qui Marieme, che inizialmente scopre la gioia leggera dell’esser donna, fatta di risate, musica, vestiti e desiderio, finisce poi per ripudiare la propria femminilità, percependola come successione improrogabile di matrimonio, figli, lavori faticosi e obbedienza a qualcun altro. La sua seconda ribellione, con una fuga dal quartiere per lavorare al soldo di un boss locale, è ugualmente liberatoria e frustrante, perché rappresenta la rinuncia all’amore e alla famiglia: un dilemma quasi schizofrenico che nel film viene mostrato senza la pretesa di trovarvi una soluzione.

Lo stile di Sciamma è onesto e privo di qualsiasi artificiosità: la tentata emancipazione di Marieme non è un percorso pienamente positivo, perché ambientata in un contesto dove il rispetto e l’autonomia passano per la prevaricazione degli altri. La ragazza impara a vessare gli altri, a picchiarli e umiliarli per aumentare il proprio potere nel gruppo, fino a fraintendere la libertà come violenza. Il gruppo di Marieme passa le giornate a insultare altre piccole comitive per difendere il territorio; bisogna sempre vincere gli scontri, fisici e verbali, approfittare dei più deboli, per fare quel che si vuole.

Il problema è, che una volta assaggiata la libertà, Marieme capisce che in realtà non può affatto fare quel che vuole: rubare, picchiare, divertirsi, va bene, ma scegliere addirittura una vita adulta dalle altre ragazze, questo no. Tutte le ribellioni dell’adolescenza devono necessariamente confluire in un’esistenza convenzionale, che assegna ai due sessi compiti e doveri ben precisi. D’altra parte la strada della prepotenza, che in un primo momento ha permesso alla protagonista di cessare di essere una vittima, muove segretamente nel suo animo anche rimorsi e dubbi. In nessun modo, pare, è possibile essere davvero se stessi; bisogna comunque rifiutare una parte fondamentale della propria identità.

Diamante Nero è un’istantanea confusa e brillante di giovani donne bellissime e orgogliose, ma anche spaventate e in crisi; un’ottima rappresentazione di un mondo che continua a venirci descritto come libero e progredito, mentre nel profondo la miseria economica agisce segretamente alle fondamenta, per costruire una società meno emancipata di quanto la rivoluzione digitale ci abbia fatto credere. I ruoli sociali che ne deriveranno saranno forzatamente poveri, come poveri sono coloro che li interpretano.

Autore: Veronica Vituzzi
Pubblicato il 16/06/2015

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