Red
A metà fra tradizione fiabesca e anime giapponesi, è un film sulla femminilità e la crescita, in cui la Pixar cerca di conciliare la propria identità con le esigenze di un mercato globale (e sempre più orientale).
Turning Red, diventare Red: un nome, un colore, una condizione. Fare i conti con qualcosa o con qualcuno, soprattutto con la propria storia di figlia, di donna. A questo guarda il venticinquesimo lungometraggio Pixar, distribuito in Italia con l’immediato titolo nominale Red, realizzato da Domee Shi (già autrice del cortometraggio Bao, Oscar 2019), prima regista a guidare un’opera della casa di Emeryville. Ma chi sia, cosa voglia e da dove provenga Red, un grosso e morbido esemplare di panda rosso in cui la protagonista Mei Lee si trasforma, sono domande a cui la tredicenne di origine cinese tenterà di trovare risposta insieme alle amiche Miriam, Priya e Abby, non prima di essersi scontrata con la propria emotività instabile, una madre decisamente troppo invadente e un’eredità famigliare a dir poco misteriosa.
Seguendo la tradizione delle fiabe, come accade in Cappuccetto Rosso, Red ha chiaramente a che fare con l’essere e il diventare donna: il film cattura il momento in cui da una bambina dovrà nascere una donna e, non a caso, abbraccia tutto il femminile dispiegandosi attorno alle grandi figure della Mamma, della Bambina e della Nonna, affrontando emozioni violente e contraddittorie. Il riferimento al colore rosso, come nel caso del cappuccetto, è da questo punto di vista rivelatore perché si tratta del sangue, dell’inizio del ciclo del sangue e dunque dell’inizio del tempo della fertilità; ma anche, e contemporaneamente a quanto accadeva in Biancaneve con la mela rossa, del desiderio sessuale, dell’affermarsi di una sessualità ormai matura. Come precisa Bettelheim «il colore della mela evoca associazioni sessuali come le tre gocce di sangue che produssero la nascita di Biancaneve, nonché le mestruazioni, l’evento che segna l’inizio della maturità»[1].
In questo senso il film si presenta come ideale continuazione del precedente Luca: attraverso una storia di formazione ambientata a Toronto nel 2002, quindi collocata nello spazio e nel tempo e autobiografica (la regista ha preso spunto dal proprio passato), Red mette in scena il percorso che la protagonista deve compiere per la conquista della propria identità. Sul piano dei contenuti, Luca e Red sono film gemelli, dall’anima bestiale. Infatti, analogamente a Luca, Red è un film capace di far dialogare mondo esteriore e mondo interiore coniugandone le complessità e le forze espressive: da una parte i malumori preadolescenziali di una ragazzina perfettina che vede nella madre l’immagine da consacrare ma vuole a tutti costi andare al concerto della sua boy band preferita, i 4*Town, e per questo tradirà il modello da seguire; dall’altra una bestia pelosa e puzzolente, ingombrante e rabbiosa, che si palesa all’improvviso nella vita della ragazza scombinandone l’ordine originale. E non solo.
Adeguandosi alle logiche della (casa) madre, Mei Lee deve liberarsi del panda Red mediante un rito magico che porterà il film a trasformarsi in un’estensione ibrida e orientaleggiante (che non manca di guardare agli anime, da Sailor Moon a Ranma) del dittico di Pete Docter composto da Inside Out e Soul: con il primo condivide l’idea dei criteri cromatici che lì servivano per distinguere le emozioni mentre qui aiutano a riconoscere le amiche; con il secondo spartisce l’idea di una dimensione astratta e altra nella quale proiettare il proprio spirito pandesco. Così, al pari del cervello di Riley e dell’Ante-Mondo, rappresentazione di uno spazio fantastico dove le potenzialità creative si manifestavano in modo clamoroso, anche in Red il piano astrale è un luogo immaginario molto simile a una foresta di bambù in grado di accogliere il duello finale tra lo spirito del panda e la libertà di Mei Lee, pronta alla conquista dell’identità.
E qui può sorprendere che per affrontare una mole di temi così impegnativi (l’imbarazzo, la crescita, i legami famigliari, le tradizioni culturali, le prime mestruazioni) lo studio adotti la strada della semplificazione simbolico-cromatica in salsa pop: se il concerto monopolizza la ritualità simbolica dell’iniziazione, il versante estetico è dominato dal rosso. D’altra parte cos’hanno in comune la bandiera della Cina e quella del Canada? Ecco, quindi, se da una parte il rosso del titolo conferma l’intenzione di Pixar a far convivere presente e passato dell’animazione - rosso come la mela di Biancaneve, ma pure le rose pitturate da Alice, i capelli di Ariel, il cappello e i capelli di Jesse o di Merida - dall’altra risulta evidente la fatica che lo studio sta affrontando nel portare avanti quel percorso di rinascita basato sul riconoscimento di nuovi target e la ricollocazione di chiavi poetiche, elementi innovativi e proposte universali in un mercato necessariamente internazionale e sempre più diversificato.
Per tali motivi, il lieto fine del film risulta compiacente, ambiguo sul piano della morale ma non su quello del significato. Parafrasando le parole con cui Mei Lee esordisce nell’incipit: «La prima regola di famiglia? Onora i tuoi genitori. Assecondare ogni loro richiesta ma non dimenticare di onorare te stessa». Non è il momento di andare avanti verso l’infinito e oltre, è ora di accontentarsi e fare cassa con il panda puccioso che strizza l’occhio ai paganti (del tempio-cinema). Non è il momento di lasciare andare (come nel finale di Luca), in Red diventare grandi significa trattenere, un po’ alla maniera di Encanto.
Insomma Pixar non ha tutti i torti, diventiamo. Ma qui non si cambia un granché, piuttosto ci si arrangia con quello che si è e quello che si ha.
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[1]: B. Bettelheim, Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, Feltrinelli, 16° ed., Milano 1997.