Dossier Joe Dante / 1 - Nella tana del bianconiglio
Introduzione ed invito al viaggio nel cinema di Joe Dante

«Una o due volte aveva gettato lo sguardo sul libro che leggeva sua sorella, ma non
c’erano né immagini né dialoghi, "e a che serve un libro," pensò Alice, "senza immagini né dialoghi?"»
Alice nel paese delle meraviglie – Lewis Carroll
«Te l’ho detto che i cartoni sono belli, succede l’incredibile!»
I prigionieri di Anthony - Jeremy Litch (Anthony)
La distanza che separa la meraviglia dell’immaginario dall’immagine (che la contiene) è lontana solo un altro passo, solo un altro un film, solo un altro libro, solo un altro sogno. La distanza che ci separa dall’altromondo è quindi breve. Potremmo raggiungerlo, se volessimo, seguendo diversi stratagemmi sempre buoni ad ogni passaggio: potremmo inseguire un coniglio bianco, se solo riuscissimo a prenderlo, o entrare nel mondo dei cartoons risalendo il tubo catodico della vecchia televisione della nonna, oppure, più velocemente, attraversare uno specchio per entrare nell’altromondo a noi riflesso, o semplicemente abbandonarsi alla deriva della sonnolenza che arriva, chiudendo gli occhi per poter sognare. Si può anche rimanere lucidi quanto basta per lasciarsi abbracciare dal torpore dello spleen, in una allucinazione annoiata da svegli. E se nel sogno (indifferente se ad occhi chiusi o aperti) sognassimo schemi elettronici di natura aliena, utili per costruire la nostra nave spaziale, ammassandola in giardino tra vecchie cinfrusaglie e ferraglia (Explorers), potremmo così raggiungere l’universo! Potremmo, invece, lasciare che quell’oscuro buco che abbiamo sotto casa (The Hole), vecchio quanto il mondo, si apra, restituendoci le paure rimosse che contiene, quei protagonisti sinistri del lato oscuro del nostro più intimo mondo altro. Potremmo fregarcene dell’antica saggezza dell’anziano venditore e comprare un Mogwai (Gremlins) e lasciarlo a mollo dentro un acquario, programmandogli il cibo solo dopo mezzanotte. Potremmo, se volessimo raccontare una storia, riempire un foglio dapprima bianco con immagini e dialoghi che si rincorrono in frenesia su una giostra di righe bianche. Un libro lungo ed artificioso quanto la fantasia di un bambino. Un libro che è figura dell’immaginario. Dove rocamboleschi eventi diventano possibili e dove tutto è tradotto in immagine. Un’immagine ingrandita, elastica, tesa a rappresentare sia l’infinitamente grande che l’immensamente piccolo, riproponendolo in tutta la sua grandezza e dettaglio. Un’immagine che apre finestre su mondi fantastici di tela bianca.
Potremmo magicamente trasformarci in Duffy Duck (Looney Tunes – Back in Action). Sfigati nerd davanti alla tana del bianconiglio. Cosa faremmo? Esiteremmo, rifugiandoci nel nostro piccolo e privato mondo intellettuale? Sempre inguaiati, schiacciati, tritati, lanciati, sfigati. Se davvero fossimo come Duffy Duck inseguiremmo quel dannato bianconiglio fino al centro dell’universo e gliela faremmo pagare una volta per tutte. Vincente per eccellenza mentre instancabilmente rosicchia quella sua dannata carota, sempre in grado di sovvertire ogni situazione sfavorevole a suo vantaggio traendone personale beneficio ed oscurando me, Duffy! Ed è con questa ipotetica vignetta che iniziamo a considerare l’ossessione di Joe Dante nei confronti del white rabbit, ossessione che ci introduce e che ci accompagnerà in questo nostro viaggio nel profondo della sua filmografia. Per non parlare delle affinità che intercorrono tra il mondo di Alice e quello di Dante, come l’identità e la frenesia di alcuni suoi personaggi o come l’evoluzione magica del viaggio, che come nel romanzo di Carroll, discendendo scopre. Entrambi sanno riconoscere le frontiere del sogno, quei confini vicini per mondi lontani, riconoscibili a volte solo dai bambini.
La sintassi ipotetica, finora usata, è la giusta struttura grammaticale per addentrasi nel mondo della fantasia. Il condizionale elude il negabile e rende tutto possibile e, nell’incredibile mondo cinematografico di Joe Dante, vale la stessa fisica. Nato nel 1946 a Morristown (New Jersey) e nel cuore mai cresciuto, mi spiego meglio, cresciuto anagraficamente, fisiologicamente, intellettualmente, quello sì, ma nell’animo sempre un bambino. É impossibile definire una strada monografica su Dante senza dei riferimenti necessari a conoscere il nutrimento immaginifico che fin da piccolo ha provato a saziare, suggestionandolo sempre più del dovuto. Il suo immaginario si struttura attraverso una miriade di fonti che procedono di pari passo con l’evoluzione tecnologica. D’apprima sono le fiabe (Andersen, Carroll, Verne, Grimm), poi fumetti (MUD, Topolino, Batman, Zio Paperone), poi i cartoni animati (Biancaneve e i sette nani, Looney Tunes e tutta la produzione passabile nella televisione anni ’50), e poi i film. Tanti, tanti, film. Perlopiù di genere fantastico, comprensivo della fantascienza anni ’50, con i suoi mostri giganti, i viaggi intergalattici, eroine da difendere e vecchie botteghe invase da esseri mutanti, poi l’horror firmato Hammer (Frankenstein, Dracula, la Mummia) ma anche l’espressionismo tedesco, la frizzante commedia di Wylder, lo slapstick americano insieme all’autorialità dei grandi registi passati. Una cosmogonia cinematografica legata all’introduzione e all’evoluzione del video che Dante negli anni divora, mangiando vhs come se non ci fosse un domani, quindi vede, rivede, e fa suo. Immaginario mai stabile e definito ma un magma devastante in continua crescita, come un blob irrefrenabile di cultura fantastica (e non) sempre aggiornabile. Queste sono solo alcune delle fonti citazionistiche primarie che approfondiremo (sia in un paragrafo tematico specifico, sia nelle singole recensioni della sua filmografia – affrontando la titanica impresa del cercare di restituire un diagramma della loro infinita ragnatela), utili a capire il punto di partenza della fantasia del Dante bambino. Un bambino tanto suggestionabile da temere, il giorno dopo la visione di Tarantola di Jack Arnold, di poggiare il piede oltre il materasso per paura di essere morso dall’orribile aracnide. Come se il mondo reale fosse estendibile, in quanto strettamente tangente, al cinema/mondo fantastico (o alla meraviglia fiabesca, fumettistica e cartoonesca), che lui guarda e conosce, un luogo dove lo schermo cinematografico è talmente fragile da essere strappato ed invaso da quelle stesse creature che lo popolano. Un altromondo con un confine esile. Una tana misteriosa nascosta proprio dentro al nostro giardino con un coniglio bianco sempre di fretta, un’immaginario quindi vicino, un viaggio avventuroso sempre a portata di mano. Nella sua filmografia a Joe Dante basta anche un banale espediente per farci addentrare in un mondo dove le regole non esistono per la fallibilità del contesto, dove tutto diventa possibile sia attraverso l’uso della tecnica cinematografica, in particolar modo nei riguardi dell’arteficio meccanico, o dell’atmosfera sognante, sia attraverso l’apertura di squarci visionari, figli del cinema di Méliès.
Vena fantastica e spettacolarizzazione della stessa, l’universo di Joe Dante nasce dal concetto di viaggio nel meraviglioso mondo della fantasia, ed arriva a spettacolarizzare la sua stessa macchina creatrice. Quella televisione che concede il meraviglioso al bambino con il cartoon ma che impianta anche apatia nell’adulto. Figlio della televisione invasiva della seconda metà del secolo scorso, per Dante tutto è spettacolarizzabile, tutto è intrattenimento pubblicitario, l’apparecchio catodico è croce e delizia. Da una parte è un riproduttore di cinema e sogni, mentre dall’altro è macchina infernale, fine utile per mastodontici raggiri, che adotta la grammatica del superfluo utile ad ignobili lobby americane, un’ouverture sull’inesattezza (dis)informativa, sul quell’apparato finzionale ed allo stesso tempo funzionale sulle masse. L’immagine si carica del valore mesmerizzante, diventando ipnotica suggestione, dando inizio ad una ciclopica lotta tra l’americano medio ed il telecomando: combattuta a colpi di zapping. Da buon uomo democratico americano, Joe Dante utilizza il mezzo per criticare il sistema, mezzo che conosce da dentro, conoscendone l’evoluzione storiografica, conoscendolo in quanto cinema straight to video. La sua cultura di matrice fiabistica, insieme alla sua naturale propensione per la commedia (che nel suo cinema diventa spesso satira), gli insegneranno la grammatica della novellistica (che sarà la vera forza del suo cinema), che utilizzerà nella struttura dei soggetti; basata sullo stretto legame che intercorre tra fabula ed intreccio, usando quei meccanismi di causa ed effetto tanto cari ai formalisti russi ed utili al buon narratore, a quel cantastorie che sa narrare qualsiasi storia senza mai annoiare. La carica nella delizia citazionista cinematografica propria del cinema di Dante affranca il valore cinefilo del regista. Un conoscitore approfondito di molto cinema novecentesco: dai drive-in alle grindhouse, da Corman all’amore per la mostruosità nel b-movie, dalla fantasia spaziale e sognante della nuova hollywood spielbergiana alla critica nei confronti delle derive repubblicane. Il suo cinema assorbe e ripropone adattandosi a dei generi prestabiliti per poi accorgersi di averli trascesi, arraggiandoli ad ogni sua funzione espressiva. Una prerogativa da cinema autoriale, un’esigenza di onestà intellettuale che spesso ha portato la sua grande personalità ad avere accesi diverbi con le Major, trovando in quest’ultime un argine al proprio idealismo cinematografico. In una lunga intervista a Kinematrix sosterrà: «È difficile far trasparire la tua personalità in un film, perché la personalità è qualcosa che difficilmente va a genio ai produttori. I produttori adorano i registi senza personalità, perché fanno film generici, ma questo non è il tipo di cinema che amo. I film sono un’estensione di me stesso.» In direzione ostinata e contraria, Dante si muove agendo controcorrente. Lucido analista del sistema industriale hollywoodiano contemporaneo, Dante rifugge il business nel cinema, quell’attuale formula statistica per un cinema di consumo e di vendita del prodotto ad esso associato, un cinema fondato sul franchise-film, sulla serialità di un prodotto di successo a discapito del contenuto o della storia.
Settimana dopo settimana, affronteremo alcuni particolari aspetti tematici, che ci aiuteranno a capire l’universo fantastico di Dante, recensiremo film su film, addentrandoci sempre più in fondo nella tana del bianconiglio, affrontando meraviglie, stravaganze, mostriciattoli e tanto suo cinema, alla ricerca di quelle unità contenutistiche e monografiche chiarificatrici del suo modo di farlo e di pensarlo.