EROTIC THRILLS - Sex Crimes, giochi pericolosi
Punto d'arrivo dell'immaginario erotico della femme fatale, un film saturo di eccessi narrativi e di sesso dopo il quale il neo-noir diventa affare di forme e superfici de-eroticizzate.
[Questo articolo fa parte di uno speciale monografico dedicato alla figura eversiva, politica, erotica della femme fatale, nato dalla convinzione che «l’immagine, ancor più se sessuale, è sufficiente a creare una narrazione (dei generi, del pensiero, della cultura, del mercato)». L’immagine crea, e il cinema «fa ancora la differenza», nonostante tanta parte del contemporaneo sia volta oggi alla produzione di immagini-corpo depotenziate, depauperate, inviluppate di teoria e rivendicazione intellettuale desessualizzata. Incentrato sul neo-noir (dal revival postmoderno di Brivido caldo all’eccesso parodico di Sex Crimes), questo speciale nasce come risposta a tale condizione imperante e prende corpo da un testo specifico, Brivido caldo – Una storia contemporanea del neo-noir, di Pier Maria Bocchi. A lui abbiamo chiesto un’introduzione, che potete trovare qui, in cui vengano tracciate le linee guida del nostro lavoro, per una riscoperta del potere eversivo del desiderio].
Secondo Renato Venturelli il noir è stato «fin dall’inizio un cavallo di Troia del modernismo nel cuore dello spettacolo hollywoodiano»; un genere dalla natura ibrida quindi, dentro e fuori le logiche dello studio system, refrattario a una storicizzazione oggettiva. La natura sfuggente di questo immaginario si riflette in un lungo dibattito critico riguardo i temi, i tempi, le modalità canoniche di stile e narrazione, e tra le tante letture resta celebre quella di Paul Schrader. Nel 1972 infatti il regista e sceneggiatore americano pubblica sul magazine Film Comment le sue Notes on film Noir, uno studio breve, estremamente denso e documentato, in cui si sottolineano i legami psichici e culturali del noir con l’esperienza della seconda guerra mondiale, la rivoluzione freudiana e l’espressionismo tedesco, e si pongono a chiusa del fenomeno due film, Un bacio e una pistola e L’infernale Quinlan, che sul finire degli anni Cinquanta deflagrano il genere e le sue coordinate. Per certi versi lo stesso accade con Sex Crimes – Giochi pericolosi di John McNaughton, che nel 1998 chiude estremizzandolo un certo modo di intendere il neo-noir, quel revival della femme fatale che accompagna dagli inizi di Brivido caldo l’affermazione eighties del genere e che raggiunge il punto di saturazione con questo film, dopo il quale resteranno soltanto schegge di un immaginario politicamente eversivo, sessualmente scomodo, dentro un orizzonte neo-puritano di «immagini prevalentemente de-eroticizzate, in debito d’ossigeno e improntate ormai a un educato perfezionismo tecnologico» (Bocchi 2019, p. 28).
A reggere il gioco c’è McNaughton, che è regista particolare e mezzo sprecato del cinema americano; un dissidente che esplode presto con uno dei film più angoscianti e malsani degli anni Ottanta, Henry pioggia di sangue, e che da lì prosegue tra piccolo e grande schermo, commedia e poliziesco, azzeccando davvero solo Crocevia dell’inferno. Fino a che non gli arriva tra le mani lo script di Stephen Peters, un neo-noir forzatissimo, improbabile e al confine col trash (lo ammette lo stesso Kevin Bacon, protagonista e produttore), che McNaughton abbraccia consapevolmente entrando nel terreno di Verhoeven e De Palma, dove il reale si appiattisce sui riflessi sagomati dell’immagine e dietro ogni inquadratura ce n’è sempre un’altra segreta, nella quale una verità più profonda scompagina gli equilibri di potere e ribalta le aspettative spettatoriali. Basta stare al gioco, catturati nella rete bollente di un erotismo fuori dal comune per il filone mainstream, che inanella sequenze threesome e duetti saffici tra studentesse fatali e professori dal fascino suadente (senza risparmiarsi un nudo ambiguo e full frontal di Bacon stesso). Del resto il cast raccoglie volti e corpi iconici della Hollywood anni Novanta, tra Matt Dillon, Denise Richards e Neve Campbell, la Sidney Prescott di Scream, che pur tutelando la sua immagine con un contratto che esclude ogni nudo incarna l’ultima vera femme fatale del decennio, finta vittima predestinata e invece regista dell’intrigo e carnefice a sua volta, spinta da un desiderio di vendetta personale e rivalsa classista.
Fedele alla riscrittura neo-noir degli spazi, geografici e ambientali, Sex Crimes è un film che rifugge l’oscurità metropolitana per aprirsi alle paludi en plein air delle Everglades floridiane, dove famiglie white trash attorniate da alligatori orbitano dalla distanza attorno agli yatch e alle magioni sudiste della borghesissima Blue Bay. A completare il quadro troviamo il sax e la voce languida dei Morphine, per un perfetto softcore teen ad ambientazione liceale, ma tutti questi elementi, portati all’eccesso, esibiti e urlati fino al limite della parodia, innescano nello spettatore un meccanismo libidico che il film manipola e rovescia in inganno. Dove lo sguardo maschile, che apparentemente controlla e dirige il gioco, è la vera vittima, e il corpo femminile, che si concede a personaggi e spettatori titillando fantasie assai poco segrete, ribalta gli equilibri di potere per usare quello stesso desiderio contro di noi. Perché per la femme fatale farsi oggetto scopico dello sguardo altrui significa in realtà detenere il controllo segreto della situazione. Il tutto dal dentro di un gioco al rialzo che sfrutta ogni consapevolezza precedente e aspettativa spettatoriale per spingere al massimo quei corpi e quegli schemi narrativi, saturando ogni possibilità ulteriore di proseguire su quella strada che non sia sforare apertamente nell’ironia decostruttiva.
Sex Crimes è il film sul crinale, quello che porta a compimento una stagione erotica di femme fatale e seduzioni pericolose fermandosi un millimetro prima del salto dello squalo, affinché tutto regga, magnificamente, e il film diventi una grande casa degli specchi che gioca con le nostre aspettative impiegando un immaginario rarefatto, puramente virtuale, posticcio, eppur capace ancora di dire qualcosa di vero sul mondo e sul desiderio. Siamo dentro l’ultima vampata dell’incendio prima che termini l’ossigeno e si spengano le fiamme, il film che fa dell’eccesso la sua chiave di volta e del rilancio costante la sua cifra stilistica. Dopo, il deserto. Dei corpi sudati, dei suoni umidi, delle voci ovattate.