Dossier Joe Dante / 18 - Cinéma Total
Il cinema oltre lo schermo: dal saggio fantascientifico di René Barjavel al cinema in sala di Joe Dante.
«Il cinema totale aggiungerà, a questa azione sulla sensibilità un’azione sui sensi. L’opera d’arte ci colpisce sia per la gioia che offre ad alcuni dei nostri sensi, sia per l’emozione che suscita in noi, come per il piacere intellettuale che noi proviamo ad analizzare la sua perfezione». Si esprimeva così nel lontano 1940 uno scrittore fantascientifico francese chiamato René Barjavel nel suo libro Cinema Totale. Libro iniziato ben dieci anni prima della sua pubblicazione, siamo negli anni Trenta quindi, ed il cinema è ancora un fanciullo muto in bianco e nero. La visionarietà dello scrittore arriverà ad anticipare delle evoluzioni tecnologiche del cinema con carattere profetico. Dal muto al sonoro, dal bianco e nero al colore, arriverà addirittura ad ipotizzare un sistema di commistione tra radio, televisione e cinema, un network dove: «utilizzeranno tutto quello che non costa niente». Le sue derive fantascientifiche anticiperanno il 3D, la camerà stylo di Astruc, la trasmissione di dati (cinema ad onde), parlando di film senza pellicola, immaginando infine, utopisticamente, una comunità umana fondata su il cinema (realizzato attraverso l’unione di tutte le arti e mestieri) che è diventato totale.
Chissà se mai fu letto da William Castle. Produttore dei più fantasiosi b-movie anni ’50 americani (produsse anche Rosemary’s Baby di Polanski), Castle (interpretato nell’animo da John Goodman in Matinee), fu uno sperimentatore del cinema che agisce sui sensi, un cinema che comprende nel suo découpage la sala e la fruizione filmica, inserendo nell’equazione cinematografica la gestibile variante della partecipazione spettatoriale. Una visione sia visiva che fisica, non arginabile solo all’occhio che guarda, ma che investe anche gli altri sensi, proponendo un cinema che ti tocca e che ti spaventa. Uno schermo cinematografico usato come esca per l’attenzione della sala (o del mondo intero nel terrore del conflitto), da sfruttare per poter sorprendere attraverso un cinema umanizzato che non si lascia solo guardare. L’immagine ha preso il sopravvento sullo dimensione cartesiana dello schermo, reclamando la terza dimensione per materializzare la sua identità reale, invadendo con la sua immagine-fisica lo spazio destinato a chi la guarda. Joe Dante ci da la dimostrazione di un cinema totale, invasivo e distensivo, un meccanismo per poter fuggire l’orrore fingendolo, mettendo in scena una realtà che sa di finzione ed una finzione che sa di realtà. L’orientamento ormai si è perso e lo spettatore è alla ricerca di un riparo e lo troverà dentro le pareti di un cinema in carne ed ossa. Sotto il cielo della Florida, la massa consumista americana si spintona per trovare un posto nel bunker in cui è rinchiusa tutta la società americana. Una sala dove l’orgiastica compulsività del consumo implode generando i mostri che teme. «Questi rumori, queste immagini, travolgono tutte le sue difese, si fanno strada in lui, lo penetrano, lo possiedono. Hanno presto dimenticato le sue preoccupazioni e i suoi reumatismi. Si incolla allo schermo con occhi e orecchie». Lo straniamento diventa possessione, la visione diventa catarsi collettiva. L’orrore vero genera un orrore plastico, finto e consolatorio.
Quello di Dante è un universo filmico vivo, dove la fantasia trova la modalità per realizzarsi diventando oggetto concreto. La materializzazione di forme cinematografiche ben precise, a partire dal puppets in sala (Matinee) appena partorito dallo schermo cinematografico. Il mostro dona densità e peso specifico all’immagine, l’emozione si manifesta in soggetto. Molto spesso il soggetto si moltiplica (Gremlins) creando una giostra di personaggi materializzati dal flusso luminoso del proiettore. Un universo corale aperto a tutti i target di pubblico possibile, «un universo infinitamente grande ed infinitamente piccolo, dove il visibile e l’inimmaginabile, i morti e i vivi, il cielo e i suoi soli, la terra e i suoi abissi, e l’uomo trionfante o vinto, obbediente alle mani magiche degli artisti che comporranno una sinfonia prodigiosa, un vorticoso balletto di colori, di volumi e di suoni, un fiume splendente di bellezza, al quale si disseteranno i popoli».