Dossier Paul Verhoeven 3/ - Kitty Tippel... quelle notti passate sulla strada

Paul Verhoven usa le avventurose vicende del riscatto di una donna come base di una riflessione sulla prostituzione che accomuna lo sfruttamento del corpo femminile a quello del proletariato

“I soldi fanno più male che bene” è l’amara constatazione che a un certo punto, come uno sfogo trattenuto, la protagonista di Kitty Tippel... quelle notti passate sulla strada confessa al suo amico André. Nel terzo lungometraggio di Paul Verhoven il denaro, alla base di un massacrante sistema capitalistico, è il vero protagonista di una vicenda apparentemente incentrata sul voyeurismo e la violenza del desiderio sessuale maschile.

Kitty Tippel è esistita realmente: si chiamava Neel Doof ed era nata durante la seconda metà dell’Ottocento da una famiglia olandese poverissima che intraprese continui viaggi da Amsterdam fino in Belgio, nella vana speranza di migliorare la propria condizione economica. Una volta divenuta scrittrice Neel raccontò in tre volumi autobiografici la sua vita incredibile, descrivendo la miseria della sua giovinezza in uno stile che la fece paragonare dai suoi contemporanei a Émile Zola. Il film di Verhoven racconta gli inizi di questa donna, fra baracche fredde e umide e la continua ricerca di un lavoro che nei fatti, oltre a pretendere orari e sforzi disumani esige, dandola per scontata, la disponibilità sessuale dalle ragazze più giovani e belle.

Il corpo e il viso di Kitty sono le sue maggiori risorse in un sistema sociale che offre alle donne tramite la prostituzione l’unica via di riscatto economico a una vita solitamente accorciata dalla maternità, dalla miseria e dai lavori gravosi. Per la ragazza si tratta però di un’arma a doppio taglio che oltre a ferirla personalmente inaridisce lo spirito di ogni sua relazione intima. Bisogna vendersi per sopravvivere, questa è l’idea ricorrente che dalla madre, che la porta a cercar clienti per la strada, a Hugo, il primo uomo di cui si innamora e che l’abbandona per sposare una donna ricca, sembra riecheggiare nelle orecchie di Kitty. Se il sesso è la principale moneta di scambio presente nel film, non è un caso che si accompagni a episodi di ribellione proletaria – simbolizzata nel ricorrente canto orgoglioso della rivoluzionaria Marsigliese francese – rafforzando la metafora della prostituzione come la condizione a cui il lavoratore proletario deve piegarsi, vendendosi al padrone per sopravvivere alla miseria in cui questo stesso lo mantiene.

Ma qui il padrone è anche l’uomo che comanda sulle donne, comprando e abusando del loro corpo: lo sguardo maschile contiene la brutalità rapace che Kitty, acquisita una coscienza di classe, intravede nello stessa sistema capitalistico. Tutto il film è pervaso dagli sguardi voraci che gli uomini gettano sulla protagonista, offrendole soldi o prendendola contro la sua volontà, ma Verhoven sceglie qui di descrivere la perversione sessuale secondo una chiave ridicola, a tratti comica, data dai tratti grossolani, caricaturali dei corpi e dei visi degli uomini che desiderano la ragazza.

Se si può ipotizzare che lo sfruttamento capitalistico si origini dagli impulsi più oscuri dell’essere umano, non è difficile comprendere come Kitty Tippel/Neel Doff, ex-prostituta, stuprata sul posto di lavoro e avviata alla strada dalla propria famiglia, sia potuta diventare una scrittrice proletaria. Poiché è il corpo a vendersi, la lotta rivoluzionaria non può prescindere dal riscatto della carne. In Kitty Tippel...quelle notti passate sulla strada la ribellione passa per la vitalità del corpo della protagonista, che balla, canta, protesta, fa le smorfie e non esita a picchiare chi la maltratta. In questa graduale liberazione, che attraversa anche la sessualità, si giunge ai primi due sguardi maschili non brutali del film. Trattasi di George e André: il primo sceglie di guardare al suo corpo come oggetto estetico, usandola come modella per i propri dipinti, mentre il secondo, amico e futuro marito, esordisce in scena proteggendola dagli occhi curiosi di Hugo colto a spiarla mentre si riveste alla fine di una posa.

Alla fine Verhoven sembra non potersi esimere dal creare un’atmosfera di leggerezza, malgrado la gravità degli episodi narrati, poiché l’allegria e il riso aleggiano tra scontri con la polizia e bordelli. La sua durezza nel raccontare la giovinezza di Kitty si accompagna a una fascinazione per la grottesca pulsione bestiale dell’uomo, che il regista sintetizza nella rappresentazione di quel desiderio sessuale gelido, malato e crudele che sarà uno dei temi principali della sua intera filmografia. L’impulso del male si incarna in una sessualità disumana subordinata a una società anch’essa disumana, pertanto l’incontro dei corpi non può che risultare una forma di abuso.

Autore: Veronica Vituzzi
Pubblicato il 14/04/2017

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