Dicono di me: parla, parla, ma non ha mai vinto niente.
Me l’ha ripetuto pure uno degli avvocati
della difesa al processo di Napoli.
Bene: cosa hanno vinto, a parte Benitez,
quelli che allenano in A in questa stagione?
Ho valorizzato e mandato in nazionale più di 20 giocatori:
quanti allenatori possono dire la stessa cosa?
Zden?k Zeman
Personaggio odiato ed amato senza mezze misure, Zden?k Zeman, con il suo stile di allenamento e il suo stoico ed immoto comportamento, ha segnato il mondo del calcio italiano degli ultimi vent’anni. Noto per lo spettacolare ed offensivo modulo 4-3-3, che offre il maggior numero di triangolazioni possibili, e famoso per il rinomato modo tagliente di rispondere alle interviste, il boemo non ha avuto una carriera facile in Italia, soprattutto in questo paese dove il calcio è marcio quanto la politica e all’onestà viene messo un bavaglio. Prima osannato e venerato per le formididabili quattro stagioni sulla panchina del Foggia (1989-1994) che, da un lato avevano portato la città pugliese dalla Serie B ad un passo dalle qualificazioni per la Coppa Uefa, e dall’altro avevano consentito a Zeman di essere “promosso” sulle panchine più importanti delle due squadre capitoline (Lazio 1995-1997 e Roma 1997-1999); poi ostracizzato e trattato come un appestato per le dichiarazioni accusatorie sul forte abuso di farmaci da parte di molti giocatori, puntando, soprattutto, il dito verso la squadra della Vecchia signora. Da quel momento Zeman è stato un allenatore ramingo di panchine, che cambiavano di anno in anno, se aveva la fortuna di poter completare la stagione.
Come in quelle crime story dove l’assassino ritorna sul luogo del delitto, anche Giuseppe Sansonna torna a Foggia dopo la notizia che il tecnico boemo allenerà nuovamente la squadra dei diavoli del Sud. Il primo contatto tra il loquace videomaker Sansonna e l’imperturbabile Zeman aveva dato origine ed ispirazione a Zemanlandia, che rievocava con filmati ed interviste quei formidabili anni in cui il Foggia, squadra dalla fisionomia del biblico Davide, si trovava a scontrarsi con i Golia della Serie A, spesse volte battendoli (per esempio epocale fu la partita Foggia-Milan 4-0). Ma mentre quel primo documentario era uno sguardo verso il passato, con questo Due o tre cose che so di lui Sansonna filma il presente (ma che ora è già passato) di questo sorprendente ritorno sulla panchina rossonera. Citando con gusto cinefilo il titolo del ritratto tracciato su pellicola da Jean-Luc Godard (Deux o trois choces que je sais d’elle<), Sansonna realizza un mediometraggio che vuole essere più intimista, più centrato sull’uomo Zeman che l’allenatore, che l’autore astigiano in una boutade ha definito: . Concisa e perfetta descrizione per questo personaggio asincrono con il mondo circostante, sempre poco loquace e perennemente con una sigaretta tra le labbra.
In Due o tre cose che so di lui vediamo Zeman che reincontra i suoi vecchi ed ormai incanutiti sodali di quel magico Foggia: il dirigente Franco Altamura, il vice Vincenzo Cangelosi, l’ex difensore Maurizio Codispoti divenuto ora allenatore; l’ex portiere Francesco Mancini, adesso preparatore dei portieri, il direttore sportivo Peppino Pavone. Mentre dall’alto degli spalti troneggia sempre Don Pasquale Casillo che, ricoprando la società foggiana nel 2009, ha voluto nuovamente il boemo sulla panchina. I tempi sono trascorsi e cambiati, non solo in senso temporale ma anche in qualità. Il Foggia è ormai un team di Serie C1, con una situazione finanziaria disastrosa e con un parco giocatori composto da giovanissimi presi tutti a costo zero. Quello che non cambiato è lo stile di Zeman, rimasto immutato nel tempo e nelle intemperie della sua tortuosa carriera. I suoi allenamenti sono sempre duri e faticosi, con la famosa disciplina della corsa sui gradoni dello stadio. Tanto meno è cambiato il suo acuminato modo di rispondere. Nelle interviste, che inframezzano questo documentario, sentiamo un Zeman che, oltre a parlare delle sue battaglie per un calcio pulito, rievoca anche un po’ il suo passato, ma senza commozioni o saudades di sorta. Tra un allenamento e l’altro c’è anche l’immancabile partita a briscola con il suo fedele staff. Purtroppo, fallendo l’obiettivo play-off, il sogno di riemergere nuovamente in B non si avvera, e l’anno successivo Zeman cambia nuovamente squadra per passare al Pescara che milita nella serie cadetta (e che poi raggiungerà l’obiettivo promozione in A). Dopo ci sarà il ritorno sulla panchina della Roma, ma Zeman viene esonerato a metà campionato. Però questa è un’altra storia…
Mentre Zemanlandia era scoppiettante e divertente, questo secondo mediometraggio sul boemo è piatto e, a volte, sembra di assistere ad una puntata monografica realizzata per il programma televisivo Sfide, ideato e curato dalla giornalista Simona Ercolani. Molti sono gli spunti che potevano rendere interessante questo lavoro, ma scarso è il livello professionale di realizzazione. Non tanto per una questione di budget quanto piuttosto di regia, ed emerge la poca capacità di Sansonna di creare qualcosa senza l’ausilio di materiale già esistente. Raffrontando i due lavori su Zeman, si ha come l’impressione che quel primo documentario fosse riuscito per merito del sapiente dosaggio di spezzoni d’archivio ed i gustosi intermezzi chiacchiericci tra un esistenzialista Zeman ed un edonista Casillo.