Zemanlandia

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se lui fosse rimasto, la squadra non sarebbe mai retrocessa>>

Zdenek Zeman

Ci sono certe cose che nella vita non si possono spiegare.

Altre che sono difficili da spiegare, ma alla fine ci si riesce.

Ci sono cose – per giunta – che se non le vivi… che senso ha?

All’inizio degli anni novanta un allenatore di calcio ed una piccola squadra di provincia stravolgono completamente il mondo del calcio. Cambiano i metodi di allenamento, cambia il rapporto tra squadra e tifosi, ma soprattutto cambia il gioco, e il pensiero che sta alla base di questo. L’artefice di questi cambiamenti si chiama Zdenek Zeman, uomo di calcio e di filosofia fino ad allora quasi sconosciuto.

Un uomo riservato, schivo, che si rivelerà finanche scomodo per il mondo del pallone.

Un eversivo, un rivoluzionario. Un maestro senza allievi, ma soprattutto un puro che pagherà sulla sua pelle il rifiuto al marciume divenuto prassi. Un allenatore senza oramai più squadra, tenuto fuori dal circo, un emarginato. Un nome che è diventato tabù, ma sul quale il regista pugliese Giuseppe Sansonna dedica uno sforzo ammirabile, cosciente del fatto che realizzare un film su Zeman voglia irrimediabilmente significare realizzare un film sotterraneo. Un film passato in rassegne minori, qualche festivalino, e su qualche canale televisivo che certo non ha grande respiro nazionale. Del resto… se fai un film su Zeman… cosa aspettarsi?

Ma il documentario Zemanlandia non è un excursus ad ampio raggio sulla vita e sulle opere del boemo, bensì un racconto di quello che fu il grande Foggia di Zeman, ovvero quello della stagione 1986-87 e, soprattutto , quello che va dalla stagione 1989-90 al ‘93-‘94.

Spiace notevolmente constatare però che raccontare, rievocare quelle che furono le gesta e i protagonisti del “diavolo della capitanata” è opera difficile e di sicuro non riuscita a Giuseppe Sansonna. Il film parte da uno spunto originale e divertente: a distanza di anni riunire la coppia artefice del “miracolo Foggia”, ovvero l’allenatore Zeman e il presidente Casillo, adagiarla su di un divano e lasciarli lì, in totale libertà, a rimembrare il tempo che fu. E poi ripescare i vecchi collaboratori di allora, i giocatori, e alcuni dei personaggi che vagavano a Foggia in quegli anni. Purtroppo già dopo pochi minuti ci si accorge che il film non decolla, anzi quasi scade, nonostante l’ottima idea di partenza e la strana coppia assolutamente comica tra i silenzi dell’allenatore e lo strabordante presidente, un fiume in piena che non riesce a sopperire ad una povertà filmica di fondo. E’ un progetto di sicuro modesto anche sotto l’aspetto economico, che inficia il risultato finale (le immagine di repertorio, ad esempio, non hanno la qualità necessaria). E la regia risulta assente, o inesistente, come se Sansonna si sia solo limitato a registrare e a montare i pezzi migliori – e ciò si evince in massima parte in una sommaria costruzione delle immagini e in una fotografia totalmente assente.

Che peccato!

Perché Zeman è Zeman, e nessun altro. Stante gli anni, rimangono vivi i ricordi di quel Foggia capace di far paura alle grandi, di quel Foggia spettacolare. Di giocatori su e giù dalle scalinate dello stadio. Del campo d’allenamento che altro non era che uno squallido campo parrocchiale.

E Foggia non era stata mai (e mai più lo sarà) così viva, così grande. Grazie anche alla modestia di taluni calciatori che campioni non lo erano mai stati, e mai lo sarebbero diventati. O quelli che campioni sarebbero diventati. E quelli che campioni invece… lo erano… ma bruciati.

Tra i piedi di Codispoti, fino ai gol di Baiano, Signori, e Rambaudi. E i russi Kolyvanov e Shalimov – ferita aperta nel cuore di Zdenek.

E il più grande di tutti: Casillo. Senza aggiungere altro, che ogni parola sarebbe superflua.

Un peccato questo Zemanlandia. Un vero peccato.

Bianciardi, Fusco, Viola, Brera… stanno a guardare di quando lo Zaccheria era lo stadio più bello d’Italia.

Autore: Tonino Samueli
Pubblicato il 12/08/2014

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