E N D – The Movie
Un film a episodi per cercare di scappare dagli stereotipi dello zombie-movie
Nel 2013 Federico Greco, assieme a Luca Alessandro e Allegra Bernardoni, girava E.N.D., primo episodio di una miniserie che non vide mai la luce. L’idea, però, non venne mai abbandonata del tutto e nel 2015, grazie anche a Domiziano Cristopharo che entrò nel progetto, E.N.D. fu trasformato in E.N.D. – The Movie, un lungometraggio a episodi. L\'acronimo sta per Erythroxium Coca, NaOH (idrossido di sodio) e Desimipramina, ovvero elementi che, combinati fra loro, formano una comunissima droga. È proprio da una partita tagliata male di questo stupefacente che si sviluppa un’epidemia che trasforma gli esseri umani in zombi. Già nel breve prologo (Day 0) Greco, Alessandro e Bernardoni suggeriscono, neanche troppo a bassa voce, la metafora della droga come fonte di contagio e male prodotto dall’uomo stesso. È un tema spesso già visto, non solo all’interno del genere orrorifico, tanto che i tre registi del segmento e Cristopharo non fonderanno tutto il film su questa semplice similitudine.
Nel primo episodio (Day 1 e Day 2) un proprietario di pompe funebri smercia cocaina attraverso le bare. E mentre fuori si sviluppa l’epidemia, una persona che si era nascosta in un feretro viene a contatto con la sostanza tagliata male, mutando in zombi. Day 1 e Day 2, diretti da Greco, Alessandro e Bernardoni si pongono, ipoteticamente, come l’inizio di una paranoia pronta a scattare e a dilagare al pari della vera epidemia zombi. All’interno di un luogo che per definizione simboleggia la fine dell’esistenza umana (le onoranze funebri) i personaggi non abbracciano la morte, ma rimangono in uno stato di non-vita. C’è insomma una forma di contrasto fra la vita, la morte e ciò che vi sta in mezzo, ma niente di tutto ciò è realmente approfondito. Regna anzi un po’ di confusione in questo primo episodio in cui la scelta della musica drammatica, che accompagna i momenti carichi di tensione, è in contrasto con il tono leggero e quasi umoristico di alcune sequenze. Il secondo capitolo, Day 1466, diretto da Domiziano Cristopharo, è ambientato a cinque anni dall’inizio del contagio e racconta la storia di un uomo e della sua compagna incinta che, in fuga dai morti viventi, trovano riparo in un casolare abbandonato. Si fatica a riconoscere un collegamento tra l’episodio di Cristopharo e il resto del lungometraggio: gli zombi sono rappresentati in maniera del tutto diversa e la storia raccontata non aggiunge nulla al film. L’accostamento di una vita che sta per iniziare (quella del bimbo nella pancia della donna in fuga) a quella di un essere umano che può morire da un momento all’altro e a quella di uno zombi, la cui vita continua in assenza però di raziocinio e di uno scopo, non è assolutamente approfondito. Il gigantesco tema vita-morte poteva essere il collegamento, attraverso simboli e metafore, dei diversi episodi. L’impressione che si ha, invece, è che i registi non vogliano affrontare questo tipo di temi filosofeggianti e che il segmento di Cristopharo sia stato inserito con l’intenzione unica di aggiungere minuti alla pellicola.
Day 2333 è l’ultimo episodio, diretto dal solo Federico Greco, ed è ambientato a diversi anni dal contagio in un mondo in cui il rapporto numerico tra umani e morti viventi si è, in sostanza, ribaltato. Gli zombi comunicano fra loro con versi neandertaliani e sono organizzati in una strenua resistenza contro gli umani. Ispirandosi a George A. Romero, Greco mette in scena una vera e propria evoluzione del mostro in grado di provare dei sentimenti. Giorgio, uno dei personaggi, inizialmente umano, lo ritroviamo zombi ed è per questo motivo aiutato dai suoi simili. Una volta però che gli umani stanno per tornare al potere, Giorgio non esita a spacciarsi per non contagiato in una perenne ricerca di umanissima accettazione.
In un mondo in cui anche gli zombi mostrano di possedere coscienza e sentimenti (come paura di morire e voglia di vivere) il confine fra umani e morti viventi si fa sempre più labile, sfumato, quasi irriconoscibile. I registi costruiscono, attraverso gli episodi collegati fra loro in maniera piuttosto sfuggente, una forma di intercambiabilità fra zombi e uomo, interrogandosi su chi sia realmente il mostro. Il loro è sicuramente un tema nobile, troppe volte però trattato: gli autori, pur cercando vie alternative al filone, ripiegano su argomenti affrontati diverse volte negli anni e si accontentano di realizzare un pot-pourri di ironia, paranoia e carne sgranocchiata, in cui però non trova posto quel pizzico di originalità che da tempo il filone zombi, troppo accartocciato su se stesso, richiederebbe.