Antoni Benaiges non è un nome noto. Insegnò durante l’anno accademico 1934-1935 nella scuola di un piccolo e sconosciuto borgo nel nord della Spagna. Un uomo semplice sperduto nella campagna non fa la Storia. Eppure il documentario di Alberto Bougleux è dedicato a lui, non a un generale né ai comandanti che di lì a poco avrebbero bagnato di sangue il suolo iberico. El retratista inizia ai giorni nostri dall’altra parte dell’oceano, in un asilo messicano dove l’insegnante sta leggendo ai piccoli allievi i nomi che loro stessi hanno stampato su fogli gialli. Appaiono quelli di Célestin Freinet, inventore dell’omonima tecnica pedagogica, di Patricio Redondo Moreno, fondatore della scuola, e di Antonio Maria Benaiges. Proprio come i bambini, anche il regista viene a conoscenza di quest’ultimo quasi per caso; è il fotografo Sergi Bernal a parlargliene. Bougleux e Bernal si conoscono perché i figli frequentano la medesima scuola. Interessati entrambi alla vicenda del maestro catalano scelgono di collaborare. Partendo dalle foto e dai contatti raccolti da Bernal per la mostra Desenterrando el silencio (ovvero, dissotterrando il silenzio), i due autori intraprendono un viaggio verso Burgos, la città spagnola dove morì Antoni Benaiges, probabilmente gettato in una fossa comune. Attraverso le memorie dei suoi, ormai anziani, giovani alunni, il maestro torna a essere presente nella coscienza di un paese che prima lo accolse e poi se ne sbarazzò.
Affermare che c’è tanta poesia nella storia di Antoni Benaiges quanta nel Piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry non è un’esagerazione, né un paragone casuale. Se si fosse realizzato un film nel ventennio ’60-’70 probabilmente a interpretare il giovane maestro sarebbe stato Gian Maria Volonté, tanto era abissale il divario tra l’utopia dell’individuo e il fascismo della realtà. Benaiges credeva di potere migliorare la società e sapeva che per farlo bisognava cominciare dall’istruzione. Per questo aveva abbracciato il metodo naturale di Freinet, ovvero il riferirsi alla vita reale nell’insegnamento. Spronava gli allievi a ragionare, a esprimersi e a collaborare; per raggiungere meglio l’obiettivo si era munito a sue spese di una pressa con la quale stampare i quaderni scolastici. Fin da subito la produzione cartacea degli alunni fu prolifica e divenne materiale di scambio con le pubblicazioni di altre scuole, spagnole ed estere. El retratista è proprio il titolo di uno di questi quaderni, il quale fa riferimento al giorno in cui un fotografo si presentò in classe per ritrarre il maestro e i bambini. In quell’occasione alle testimonianze scritte si aggiunse un’immagine in grado di suggellare l’impegno di un uomo verso il futuro della società. Futuro, che in quanto non ancora presente e tangibile, si esprime nel sogno. Ad esempio quello, regalato agli scolari, di accompagnarli a vedere il mare, così immenso e sconosciuto ai loro occhi. Ma spesso i sogni si scontrano con la realtà, specie quando una guerra civile è alle porte, e per un piccolo maestro che ha ripudiato ogni potere, religioso e militare, non può che spettare il ruolo della prima vittima. Così in un giorno d’estate i falangisti fecero irruzione nella scuola, trascinarono via l’insegnante e in quelle stanze in cui si era anelato di bagnarsi un giorno con l’acqua dell’oceano diedero tutto alle fiamme.
Il documentario di Alberto Bougleux dura meno di un’ora, vale perciò la pena dedicargli un po’ del nostro tempo. A credere nel progetto sono stati innanzitutto i 184 micro-mecenati che lo hanno sostenuto grazie a una campagna di crowdfunding. Il regista non li ha delusi dissotterrando il silenzio di un racconto che merita di essere ascoltato, perché può insegnare tanto; specie ora che a distanza di ottant’anni abbiamo ancora bisogno di altri Antoni Benaiges. E non è un caso se in tutto il film non si senta mai il nome di un dittatore o di un assassino coi gradi gerarchici. Non sono loro ad averci lasciato qualcosa e non è a loro che dedicheremo le nostre attenzioni. La nostra Storia è fatta di nomi che hanno dato e mai tolto.