L’hanno chiamata la Rivoluzione del Gelsomino, quella che ha sconvolto il territorio tunisino nel dicembre del 2010. Una rivolta che si inserisce nel contesto delle coeve sommosse arabe e che ha portato alla caduta del vecchio regime e alla fuga del presidente Ben Ali. La disoccupazione, il rincaro dei prezzi, la corruzione dilagante e il clima di allerta e malessere generali continuano ancora oggi, mietendo vittime tra slanci di protesta e tentativi di repressione. Il regista e sceneggiatore Hinde Boujemaa decide di calarsi in questo scenario di guerriglia civile e politica, alimentando la curiosità destata da tanto fermento violento con la realizzazione del documentario Era meglio domani.
L’obiettivo si apre su strade polverose che evidenziano lo stato di confusione e degrado in cui riversa oggi la Tunisia. Una condizione allarmante che si focalizza sulla vicenda di Aida Kaabi, una donna di mezza età senza più dimora, senza istruzione, in balia di un tarlo distruttivo che ha leso le fondamenta della sua stessa famiglia. Sola con il figlio adolescente Faouzi, violento e mentalmente ritardato, cerca di intraprende ogni tipo di soluzione per riuscire ad arrivare alla sera con un piatto da mangiare e una stuoia su cui dormire, lottando con un disagio che le divora l’anima e la segue come la sua stessa ombra. Il dramma di un divorzio l’ha condotta sulla via dell’alcolismo con la conseguenza di continuati soggiorni tra strade urbane e prigioni. A questo si sommano l’allontanamento dai figli più piccoli, cui si dedica saltuariamente per straordinarie quanto umili giornate venate di gioia effimera, e la ricerca di un lavoro dignitoso che la condizione di subalterna ed emarginata sembra escludere. Il tentativo di irrompere in uno dei tanti palazzi abbandonati appare come un miracolo, subito interrotto dal sopraggiungere di proprietari che la riconsegnano alla realtà della strada. Nella prospettiva di Aida, nulla è cambiato da quando il Paese era in mano a Ben Ali, regnava lo stesso odore di marcio, sottolineato da una critica feroce che la situazione di outsider sociale e di testimone parziale in cui versa le garantisce di sferrare. Ormai non sembra neanche colpita dalla distruzione dominante, tanto sconvolta è la sua dimensione intima. Lo sguardo della macchina da presa indaga il volto di questa donna privata di ogni residuo di dignità, fino alla profonda confessione strappata sulle violenze subite in tenera età.
Boujemaa non si lascia intimidire dalle lacrime e rivela una sofferenza e un dolore che esplodono oltre la sala divenendo universali. Il documentario scorre collimando con una dimensione più narrativa e meno oggettiva, che tende ad evidenziare la tragedia personale di una donna che si immola ad exemplum super partes, reso ancora più precario dall’assenza di coordinate temporali che si sottraggono alla dimensione personale della protagonista, come alla struttura narrativa generale. L’ultima inquadratura in interni, in una casa finalmente conquistata, con l’accenno ad una prospettiva di miglioramento nell’insegna di un boccone e un tetto sicuri, smentisce ogni possibilità di riscatto, in un futuro frantumato come la televisione a terra, che gli occhi ormai privi di espressione di Aida continuano a fissare. Un’immagine che resta sospesa nella mente anche sul nero dei titoli di coda. Presentato alla Biennale veneziana, Era meglio domani è il viaggio di un’eroina che cerca la propria casa, in balia di un tempo che non conosce passato o futuro, solo la contrazione presente nello spazio immobile di una rivoluzione nazionale.