Fantasticherie di un passeggiatore solitario
Un viaggio narrativo, complesso ed originale, nelle terre della fantasticheria e della meraviglia
Fantasticheria n°23, Vacuitas, un luogo migliore dove entrare in contatto con una spiritualità negata ed offesa dalle circostanze e dai rimorsi - talora dimenticati talora nascosti ma mai rimossi - della vita affrontata e dagli accadimenti tragici che ci induce a subire. Vari piani temporali si intersecano, si raccontano narrandosi attraverso differenti stili espositivi, dall’animazione a passo uno, al live action, alla commistione di entrambe. Passato, presente, futuro, magia e meraviglia, ogni piano ha un suo lasso di tempo e spazio parallelo dentro il quale può manifestarsi, parentesi di una narrazione fluida e disincarnata, come uno spirito vagante che necessita di un bosco fatato dentro il quale materializzarsi. Caratteristica di un luogo dove il vuoto o il vacuo sospende l’individuo che l’attraversa, una morte dagli effetti della vita, per raggiungere l’incompletezza di un finale negato, bosco che unisce, in ultimo avviso, la realtà con la meta, la fisicità con la morte. Fantasticherie di un passeggiatore solitario, opera nuova di un nuovo ed interessante autore italiano, Paolo Gaudio – che già abbiamo conosciuto tramite la trasposizione di The Black Cat di E.A.Poe nel film episodico P.O.E. Poetry of Eirie, dopo un serie di numerose circostanze negative che, in Italia, tacciono bocche menti e fantasie di realtà indipendenti – in questo caso specifico possiamo definirle avanguardistiche rispetto al panorama nostrano – finalmente esce in sala. Il calderone immaginifico di Gaudio si nutre di un cinema fantastico prelibato, poco avvezzo al consumo italico, che annovera tra i precursori di maggiore risalto nomi del calibro di Burton, Harryhausen, Svankmajer, Cristiani, i fratelli Quay. Il miracolo, di un film del genere, al di là di alcuni e secondari nei riguardanti la limitatezza del budget ed una certa ingenuità espositiva (ma ricordiamoci che è un’opera prima), risiede nella capacità del regista di creare un universo narrativamente complesso capace di trascinarsi dietro un gusto letterario e librario di tutto rispetto, aspetto questo che in Italia viene consentito solo ad un certo cinema autoriale mainstream. Riconoscere nelle immagini il principio della trasformazione esistenziale di un personaggio come il Samsa delle metamorfosi kafkiane, testo che appare tra gli scaffali della libreria attraversata dal laureando Theo, oppure identificare una struttura narrativa contigua al mondo di passaggio proprio dell’Alice carrolliana, ed ancora tendere verso la risolutezza dell’incompiuto letterario, citando nelle immagini Il mistero di Edwin Drood opera incompiuta di Dickens, fino a giungere alle Fantasticherie del passeggiatore solitario di Jean-Jacques Rousseau, è aspetto non certo marginale che sottolinea le diramazioni culturali dell’autore stesso. Volendo usare un termine proprio della critica letteraria, Fantasticherie, è un racconto narrativo che procede tramite una struttura simile alla tecnica del cut-up di matrice burroughtiana. Il tempo e lo spazio del racconto si scompongono tramite dei tagli netti di stile che vengono rimodellati e riallacciati, in chiusura e per l’intera durata del film, attraverso un montaggio parallelo che rende attinente semanticamente e narrativamente diversi aspetti del découpage e della storia, ma che alla fine arriva a combaciare, e ad esaurirsi, in un singolo ed unico spazio proprio del montaggio alternato: vacuitas. Cercando e volendo tralasciare un’interpretazione attoriale che non riesce a sfuggire al carattere quotidiano identitario dell’attore di riferimento, o quantomeno ad espandersi nella fantasia del personaggio interpretato, restando didascalica e (co)stretta nel ruolo di outsider per eccellenza e per forza; Fantasticherie, è un piccolo film tanto audace quanto originale, una perla rara in un mare che ripropone sempre le stesse maree. Dalla cutout animation alla graphic animation, dalla model alla object alla puppet, l’opera di Gaudio è un corollario integrale della storia dell’animazione a passo uno. E tra pinocchi meccanici e bombaroli (De Andrè docet), necromanti, scrittori, laureandi, fantasmi, nani e wunderkammer, si accompagna camminando lo spettatore verso quel luogo filosofico dove la fantasticheria è parte finale di un percorso, adoperando attraverso la narrazione le coordinate per giungere in uno spazio migliore e fantastico, un altrove dove il tempo e lo spazio coincidono, fattori divenuti oramai adiacenti, luogo finale dove sovvertire le sventure e gli accadimenti drammatici dell’esistenza vissuta; proiettando, il personaggio e lo spettatore, infine verso la serenità di una morte e di un racconto concluso. Verso un rifugio definitivo, verso un’ultima inquadratura in grado di unire i tre intrecci, un bosco di congiunzione evasivo dalla drammaticità della vita e da tanto, ignorabile e ricorsivo, buon gusto cinematografico italiano.