Far East 2015 / The Last Reel
L’esordio della Cambogia al Far East Film Festival è un melodramma familiare sul potere catartico del cinema, per superare ancora una volta il trauma dell’eccidio dei khmer rossi
Il tema dell’assenza, intesa tanto come lutto quanto come mancanza di una testimonianza memoriale, domina il cinema e la sensibilità cambogiana da quasi quarant’anni, ovvero da quando nel 1976 il regime comunista di Pol Pot e dei suoi khmer rossi uccise almeno un milione e mezzo di persone. Nel giro di pochi mesi infatti un quarto della popolazione del paese perì nelle deportazioni di massa e nei campi di lavoro voluti dal regime per inseguire una folle forma di egualitarismo rurale. Dopo che le truppe dei khmer rossi entrarono nella capitale Phnom Penh, della metropoli restò letteralmente una città fantasma. Tra le prime categorie braccate ci furono tutti i tipi di intellettuali e in particolare coloro che lavoravano nel cinema: attori, registi, tecnici furono ricercati e uccisi, delle centinaia di pellicole realizzate nel periodo d’oro del cinema cambogiano (gli anni Cinquanta e Sessanta) ne sopravvivranno soltanto poche decine. Eccola allora l’assenza, il vuoto di quella memoria distrutta che già Rithy Pahn ha cercato di esorcizzare e superare con il suo prezioso L’immagine mancante e che oggi emerge di nuovo con The Last Reel, primo film cambogiano nella storia del Far East Film Festival. Anche l’opera di Sotho Kulikar dialoga con il trauma attraverso un’immagine perduta, anche se con un approccio opposto che porta ad un ideale controcampo del film di Pahn: rispetto all’intimismo astratto del grande documentarista la giovane esordiente Kulikar sceglie infatti la strada del genere e in particolare del melodramma familiare, anch’esso comunque incentrato sul potere catartico del cinema in relazione agli strascichi della guerra e al vuoto umano e culturale che essa ha generato.
Al centro del racconto c’è la giovane Sophoun, che assieme a Veasna, fidanzato mezzo delinquente, fa del suo meglio per vivere in una Cambogia moderna e stabile, apparentemente ignara degli orrori trascorsi così di recente. La prospettiva dei due ragazzi cambierà dopo l’incontro con Sokha, il proprietario di un vecchio cinema usato ormai come parcheggio per i motorini. L’uomo infatti possiede l’unica copia di The Long Way Home, il solo film girato dalla madre di Sophoun durante la sua giovinezza, prima che l’orrore degli khmer rossi le spezzasse la vita lasciandola in uno stato di confusione post-traumatica. Sophoun vorrebbe allora mostrare il film alla madre ma l’ultima bobina dell’opera è andata perduta. Sperando di aiutarla decide di rigirare la parte mancante del film, ma questa scelta mette in moto un meccanismo di ritorno che come una diga crollata inonderà Sophoun e la sua famiglia di ricordi e segreti risalenti al tempo del genocidio.
Sospeso tra presente e passato, The Last Reel è un film di grande potenza drammatica che non si fa problemi a prendere di petto il tema della guerra e ad indicare anche una direzione, una via di uscita. Per Kulikar infatti tanto l’andare avanti con noncuranza quanto il rimanere ancorati al trauma non sono soluzioni accettabili: Sophoun deve imparare a riconoscere nella propria famiglia le tracce della follia di un tempo ma evitando giudizi manichei deve anche riuscire a guardare avanti, adesso sì con una nuova consapevolezza. Il messaggio è scandito con chiarezza, solo con quest’approccio dialettico di riconoscimento e perdono il paese può sperare di uscire dalla sua storia senza correre il rischio di portare con sé il trauma o di smarrire la lezione in esso contenuta. In tal senso tutto in The Last Reel può apparire finalizzato a trasmettere questa prospettiva, dall’inizio in un luna park che ci mostra una Sophoun felice ma inconsapevole al ruolo ambiguo del padre colonnello, emblema del passato in casa che ogni famiglia non può ignorare. Tuttavia per quanto didascalico il film di Kulikar funziona perfettamente all’interno del suo contesto di riferimento, un cinema didattico la cui enunciazione retorica è necessaria al fine di una fruizione totalmente popolare. In tal senso Kulikar si prende diversi rischi, ma il melodramma scatenato dal ritrovamento del film riesce comunque a non esaurirsi a livello metaforico ma anzi a vivere su più livelli, attraverso la dimensione personale dei personaggi coinvolti, diversi dei quali molto ben approfonditi.
In conclusione The Last Reel sarà sicuramente meno raffinato, meno poetico e potente del film di Rithy Pahn, ma nonostante (o forse proprio per questo) ne sembra comunque la prosecuzione necessaria.