The First Slam Dunk
La perfetta trasposizione del lavoro di Inoue; grazie al sapiente uso dei flashback, che scandiscono il ritmo della storia come i rimbalzi sul parquet, la profondità del manga trova spazio anche nel film: così le distanze si annullano, il tempo si contrae e il linguaggio filmico incontra quello del disegno.
Uscito recentemente su Amazon Prime Video, in modalità di acquisto o noleggio, The First Slam Dunk è l’adattamento del manga omonimo, scritto e diretto dallo stesso Inoue Takehiko, che decide di trasporre la sua opera anche al cinema, dopo averla adattata per la televisione negli anni ’90 subito dopo l’uscita del fumetto. Il film si articola nel tempo di una singola partita, la più famosa e significativa per i lettori del manga, che vede antagonisti lo Shōhoku di Miyagi Ryota, il perno di tutta la storia, e il San'nō, la squadra degli invincibili giganti, in grado di rimanere imbattuta per sedici anni di fila.
Se l’opera originale utilizzava le singole partite di qualificazione ai campionati nazionali per esplorare il passato di ogni componente della squadra, questa volta Inoue decide di costruire la sua narrazione attorno a un singolo protagonista, diverso da quello del manga, ovvero il già citato Miyagi Ryota. Playmaker e simbolo di una squadra composta da seconde scelte, talenti troppo puri per poter essere domati (Mitsui Hisashi e Rukawa Kaede) e dilettanti allo sbaraglio (Sakuragi Hanamichi).
Ed è attraverso un perfetto uso dei flashback, che scandiscono il ritmo della storia come i rimbalzi sul parquet, che la profondità del manga trova spazio anche nel film: ogni personaggio, durante tutto il corso della partita, si ritroverà a fare i conti con il proprio passato, a partire dai duri momenti dell’infanzia di Miyagi e la morte di suo fratello, passando per Mitsui e il suo abbandono dal mondo del basket, fino ad arrivare a Sakuragi. Da cui le fila del racconto cinematografico incontreranno quelle del manga: i suoi flashback sono il riassunto dei volumi che precedono gli eventi narrati dal film, con la fatica e il sudore spesi per arrivare a giocare la partita più importante dell’anno.
E così, the First Slam Dunk diventa la perfetta trasposizione dello spokon per eccellenza, ipercinetico e schizzato; lo spazio e il tempo dell’azione si dilatano e contraggono tra ralenti e velocizzazioni, dove uno sguardo in grado di avvolgere tre tavole diventa un istante, un frame, poco prima di un tiro decisivo. La palla diventa testimone indiretto dei sentimenti di ognuno dei protagonisti, prodromo in grado di scandire l’arrivo di ogni flashback – un tiro da tre di Mitsui, un passaggio di Miyagi o una schiacciata di Rukawa – simulacro di uno sport che vede nel collettivo il suo più grande punto di forza, dove l’eccellenza del singolo al servizio della squadra diventa esaltazione massima del talento. Anatomie dei corpi che grazie all’animazione diventano perfetto controcampo del tratto preciso e mai scomposto di Inoue, dove la potenza del gesto atletico si ripercuote sul terreno di gioco con lo stesso fragore delle tavole del manga: un tuffo nel vuoto alla Dennis Rodman che si cristallizza in pochissimi frame come in una singola pagina del manga, preludio di un flusso di coscienza che si condensa nel tempo di un tiro e il rumore della retina che sancisce il ritorno al tempo e allo spazio della partita. “Difendiamo, qui e ora”. Ed è proprio nel finale di partita che il film trova il suo massimo momento di vicinanza con l’opera originale, nella quasi totale assenza di sonoro e un’animazione che si fa via via sempre più astratta, dove in uno stacco di montaggio – come nelle tavole del manga – le distanze si annullano, il tempo si contrae e il linguaggio filmico incontra quello del disegno.
Un film che riesce senza dubbio ad accontentare i fan più agguerriti dell’opera originale, diventandone manifesto ideologico e riuscendo ad affascinare anche chi ancora non conosceva le gesta sportive dei cinque ragazzi dello Shōhoku.
Ed è proprio qui che Inoue compie il suo piccolo miracolo, condensando 20 volumi in poco meno di due ore, dando alla storia un taglio differente e più cinematografico, ma senza tradire il cuore pulsante del manga. Un testo che ancora oggi, a distanza di più di trent’anni, riesce a essere intergenerazionale e punto di riferimento non solo all’interno del genere, ma come vero e proprio slice of life in grado di appassionare generazioni di lettori.