“In realtà tutto il mio lavoro non è che un unico, lunghissimo film che ancora si sta sviluppando”
Jonas Mekas
Come può la vita riproporsi all’occhio, nel presente? Come può persistere al passaggio, completarsi con esso che scorre e proseguire nel racconto sotto lo sviluppo irrefrenabile del tempo? Forse attraverso forme di resistenza congelata in immagini da restituire all’occhio odierno, immagini resistenti in grado di annullare il tempo del trascorso per restituircelo oggi così com’è stato. Oppure forse seguendo il concetto di Mekas, tenendo premuto il tasto Rec mentre si vive, non staccarlo mai e riprendere tutto dall’inizio alla fine, sviluppando così un unico film senza fine lungo tanto quanto la nostra stessa vita. Domande di partenza queste, per riflessioni su noi stessi così come ci conoscevamo dieci, venti o trenta anni fa.
Quando il digitale era nominato solo nelle riviste fantascientifiche non si poteva avere la lungimiranza della persistenza del formato digitale, ulteriore avvento degno di durevolezza materica delle immagini in movimento che appartengono alla memoria collettiva. Ma prima? Prima c’era il mitico Super 8, formato leggero, casalingo, domestico. Un modo per “riprendersi” mentre si viveva a casa o fuori con la propria famiglia. Feste, balli, comunioni, vacanze al mare o in montagna, di tutto. Un metodo leggero per fingersi registi, per sperimentare e molto spesso per riuscire ad esserlo. É proprio questa la base di partenza del collettivo Formato ridotto – Libere riscritture del cinema amatoriale, in concorso al Via Emilia Doc ed ivi vincitore del premio Cinemaitaliano.info come miglior documentario; far rivivere noi stessi anche solo per ricordarci come eravamo. La tecnica usata è quella tanto in voga del found footage, che si orienta sulla riproposizione di materiale già esistente, su un girato realizzato da altri e su un riassemblamento dello stesso materiale selezionato. In questo caso il bacino di partenza è uno dei migliori, appartenendo all’Archivio Nazionale del Film di Famiglia, gli Home Movies, selezionati e amalgamati sopra un tappetto sonoro ed un racconto in over di cinque scrittori emiliani. I filmati appartengono al residuo storico di noi e della nostra Storia, mantenendo alta la meraviglia di formati leggendari come appunto il già citato Super 8 oppure il 16 mm.
Film corale di tre registi Antonio Bigini, Claudio Giapponesi, Paolo Simoni che rileggono parte del territorio e della storia emiliana attraverso l’utilizzo e l’elaborazione di racconti, saggi, fatti di cronaca e divagazioni scritte da cinque scrittori: Enrico Brizzi, Ermanno Cavazzoni, Emidio Clementi, Ugo Cornia e Wu Ming 2.
Partiamo dal primo, Il mare d’inverno, con testo e lettura di Ermanno Cavazzoni; una divagazione sul mare, quello della riviera romagnola, dove troviamo tra canotte, ombrelloni, bagnini e bambini che giocano in spiaggia delle riflessioni sull’uomo e sul mare, quest’ultimo usato come sollazzo estivo e “mangiato” dall’influenza balneare estiva dell’uomo qualunque. Uomini la domenica sottolinea il rito maschile della partita di calcio, della domenica in casa e della trasferta fuori casa. Siamo nella metà degli anni ’50 ed il Bologna tra fatiche e gol spettacolari si prepara per la vittoria del titolo che verrà solo nel ’64. Un gruppo di amici assiste alla partita dagli spalti del Dall’Ara per poi raggiungere Milano per il match contro l’Inter; il testo che segue le immagini è di Emidio Clementi. Uomo Donna Pietra è l’episodio scritto da Brizzi, in grande spolvero poetico dai tempi di Bastogne, in cui l’analisi cade su una storia di amore evocata tra le rocce, come sfondo naturale l’enigmatica pietra di Bismantova sulla soglia degli Appennini reggiani. 51 di Wu Ming 2 è una dedica alla festa dell’Unità che si svolse alla montagnola di Bologna nel 1951. Il potere operaio forte si adopera per una festa dal sapore folkloristico e pacifista, dove tra sfilate di Miss e di operai in blu si beve, si balla e si fa il palo. L’ultimo racconto si intitola Strade, di Ugo Cornia, e come specificato dal titolo l’interesse viene dalle numerose strade che attraversano il territorio emiliano, alcune già costruite ed altre in fase di completamento, che uniscono le vite delle persone che anche a distanze siderali per l’epoca formano delle famiglie e dei fili umani da allacciare.
“Il valore principale del film è nel metodo e nella diversità d’approccio, non è lavoro volontario ma pagato come professione di regia e scrittura vuole, oltre a mirare ad essere il primo esperimento che va in direzione di una nuova fluida forma cinematografica tutta ancora da scoprire“. Così spiega il progetto Paolo Simoni, coordinatore dell’associazione Home Movies. Il metodo cambia ma il materiale rimane lo stesso. Come ogni avanguardia si appoggia a ciò che già c’è per superarlo nella concezione e nella forma. L’esperimento è pienamente riuscito, ci sembra, tanto per il materiale affascinante quanto per il lavoro scritto che lo sottende. Ciò che nasce è qualcosa di fluido che unisce materiale diverso e poliforme ma preesistente attraverso l’amalgama magica della parola e della rimembranza. Producono la Kinè di Claudio Giapponesi e la Regione Emilia Romagna. Un nuova forma da approfondire, sicuramente.