Speciale MUBI / Jules e Jim

di Francois Truffaut

La presenza in catalogo di un film simbolo della Nouvelle Vague, movimento cinefilo per antonomasia, è il segno che lungi dall’essere morta, la cinefilia ai tempi dell’OTT è un amore più vivo che mai.

Jules e Jim - Mubi recensione film Truffaut

[Questo articolo fa parte di uno Speciale dedicato alla piattaforma di streaming on demand MUBI, un focus monografico composta da una galleria di recensioni contaminate da riflessioni teoriche, emotive, autobiografiche, per riflettere trasversalmente sul tema della cinefilia on demand e sul più generale rapporto che intessiamo oggi con le immagini. Il progetto è stato presentato e inquadrato nell'editoriale "Di MUBI e del nome del cinema", che potete trovare qui].

Rivedere un film che si riconosce come intimamente fondamentale, nell’aver originato profondi solchi emotivi ed estetici in quel terreno fertile ma incolto che è l’animo adolescenziale, è operazione di archeologia psicoanalitica (il ri-vedere è in fondo soprattutto un ri-vedersi) e sentimentale (il ritorno a un amore passato, la riesumazione di un innamoramento, per le immagini, per i corpi).
Rivedere Jules e Jim, dunque, è per me tornare alla post maturità di un provinciale del Sud trapiantato a Roma, all’appassionato studio universitario della storia del cinema, alla prima vera infatuazione per i suoi maestosi pilastri, a notti colme di visioni e amori, odor di tabacco e spensierata voracità. È ritrovare nel triangolo amicale-amoroso tra Jules, Jim e Catherine, nelle loro confessioni e sofferenze, nelle loro corse e nei loro stalli, nei dialoghi brillanti e in certe precise parole, l’eco di un’empatia, di un’identificazione, di uno sconquassamento già sentiti, a suo tempo, e ora redivivi, rievocati come fantasmi dalla necromanzia del cinema; è rintracciare negli occhi scavati di Jeanne Moreau (occhi di marinaio che guardano lontano, iperscrutando la realtà, superandola), nella sua voce deliziosa, precipitosa, che intona Le Tourbillon de la vie, nella sua nuca e nei suoi movimenti, il ricordo di uno smarrimento amoroso, di un fervore felice che in quei momenti di visione era a lei esclusivamente riservato (ma che – non me ne voglia – era già stato e sarebbe stato dedicato a mille altre donne sullo schermo, da Monica Vitti a Margot Robbie).
Rivedere, allora, è un processo di ri-assemblamento di processi cognitivi e affettivi già attivati grazie al potere costituente e all’azione morfogena dell’immagine (Lacan e Metz), ovvero la (ri)costruzione del nostro io a partire da quelle pietre miliari del nostro immaginario che hanno via via contribuito a fabbricarlo. Ed è anche, soprattutto, un atto d’amore verso il cinema, la prova definitiva del riconoscimento del valore immenso che le immagini in movimento rivestono per i suoi accoliti. Cinefilia, insomma: pura e semplice adorazione per il cinema.
Una devozione, quella dei cinefili, che proprio con la Nouvelle Vague - di cui Jules e Jim rappresenta senza dubbio una delle creazioni più significative e rivelatrici - proprio nella Francia del dopoguerra, comincia per la prima volta nella storia ad affermarsi compiutamente, affrontando nei decenni a venire una comprensibilissima evoluzione, al passo delle trasformazioni sociali e tecnologiche. Arriviamo dunque alla conclusione di questo lungo ragionamento: se l’atto del rivedere un film è già, di per sé, frutto di una pulsione assimilabile alla cinefilia – come abbiamo cercato di suggerire –, allora rivedere uno dei film più iconici di un regista cinefilo come François Truffaut, su una piattaforma per cinefili come MUBI, sentendo l’esigenza di scriverne (la divulgazione, la diffusione, l’analisi critica, il proselitismo, finanche, sono tutti elementi fondamentali della cinefilia) è la quintessenza stessa della cinefilia, una sorta di ipercinefilia.

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Evoluzione dicevamo. Perché anche l’amore si evolve se a cambiare sono gli amanti: il cinema da un lato, sempre più frammentato nei suoi passaggi distributivi, lo spettatore appassionato dall’altro, sempre più desideroso di vedere quanto più cinema possibile, dove e quando vuole. Si potrebbe sintetizzare, prendendo in prestito le belle espressioni scelte da Thomas Elsaesser in uno dei saggi più interessanti sulla cinefilia ai tempi del digitale (in Cinephilia: Movies, Love and Memory, a cura di Marijke de Valck e Malte Hagener) che grazie agli archivi richiamabili su richiesta (on demand, se preferite) la cinefilia sia passata – almeno per le generazioni più giovani, cresciute con VHS, DVD, streaming, download e ora OTT – dall’essere «love that never lies»(la cinefilia come amore per l’originale, l’autenticità, la performance filmica come evento unico e irripetibile, ben fissato nel tempo e nello spazio) all’essere «love that never dies» (un sentimento riproducibile ad libitum, che si nutre di nostalgia e ripetizione, anytime, anywhere).

Lungi dall’essere morta, assieme al cinema stesso, come provocatoriamente profetizzato da Susan Sontag in un celeberrimo articolo apparso a metà degli anni ’90 sul New York Times, la nuova cinefilia ha abbracciato le nuove tecnologie, con tutti i benefici che derivano dalla democratizzazione dei piaceri del cinema (non più accessibili solo a una stretta cerchia di intellettuali metropolitani, frequentatori di festival e collezionisti), dovuta all’ampliamento vertiginoso degli archivi e alla moltiplicazione di piattaforme per la visione on demand dai costi tutto sommato contenuti.
Le piattaforme OTT come MUBI danno vita a una nuova età mediatica in cui i classici del passato coesistono con i cult recenti, in cui il nuovo cinema brasiliano, portato avanti da giovani cineasti ancora poco o per nulla conosciuti, coabita con i capolavori di Fassbinder, con l’esordio di Ken Loach o le opere della Nouvelle Vague. Questo significa anche crearsi la possibilità di ridare dignità a opere non particolarmente amate, fallimenti commerciali, stroncature immeritate. Film dimenticati, maltrattati, ripudiati che possono vivere una nuova vita e sentirsi nuovamente desiderati, vogliosi di uno sguardo.

Se è vero allora che la nuova cinefilia è “amore che non finisce mai” e che tiene insieme passato e presente, allora le moderne tecnologie sono il modo contemporaneo di ricordare e recuperare molti dei frammenti dell’enorme galassia della storia delle produzioni cinetelevisive. E questo, per cercatori di esperienze filmiche sempre nuove, non può che essere un bene.

Autore: Domenico Saracino
Pubblicato il 18/07/2020
Francia 1962
Durata: 100 minuti

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