Non è sogno
L'evasione sognante, tra volti e sbarre, nel cinema laboratoriale di Giovanni Cioni
Non è sogno, non è. Non è sogno, non è. Ripeterselo come un refrain, ancora e ancora, affrontando con se stessi un’opera di convincimento che vorrebbe piegare il ferro della gabbia e dissolverlo in una fuga tra le nuvole. Sbarre di una galera, quella vera, fatta di guardiani e ore d’aria, la stessa dove vanno le persone che hanno infranto una regola sociale. Corpi alla deriva, peccatori sognanti che cercano un appiglio per “evadere” dalla realtà delle loro prigioni. Giovanni Cioni prosegue magnificamente il suo cinema laboratoriale, capace di ritorni che sono arrivi, ed arrivi che sono inizi per eterne ripartenze. Un cinema che conosce l'alchimia del magico (filmico) e che lo sa calare dentro alla fibrosità del reale (nella verità dell'afilmico) componendo il telaio di una finestra dalla quale far vibrare il vento della finzione. Una brezza che dissolve le immagini dietro ad una quinta in chroma key, un portale d'infinità profondità e definizione per il sogno, quinta teatrale e specchiante dove rintracciare uno spiraglio per raccontarsi: fenditura di fuga per l’autonarrazione. Cioni splanca le porte del sogno ai propri personaggi, un sogno circoscritto in una messa in scena, portale per l'universo extradiegetico che si rappresenta in un riflesso evasivo, nell’ombra di un reale che si proietta in fughe di sognante rappresentazione. Sospinto da una forza centripeta che accentra la verità dentro al quadro del profilmico (verità, la parte più candida della realtà).
E’ nella ricorsività del gesto e del testo teatrale giocato su due testi esemplari, Che cosa sono le nuovole? e La vita è sogno, rispettivamente di Pasolini e Calderòn de la Barca, che i reclusi del penitenziario Capanne di Perugia, nel Laboratorio Nuvole, affrontano la loro vita come in un sogno. Un’ora d’aria nel verde monocromatico di una quinta da superare, sognando di evaderla, per ricongiungersi con ciò che di loro è rimasto fuori dalla reclusione, un mondo che è stato e che lascia frammenti di ogni possibile realtà, in aspettative desideri e paure. La differenza di peso specifico tra la metafisica dell’altrove e la fisica del presente, tra il ricordo della libertà e la costrizione dell’internamento, non evapora nelle dissolvenze dell’intarsio digitale ma resta scolpita nelle espressioni dei volti, nelle rughe dei primi piani, nelle parole di un sogno, teatrale e poetico, rinchiuso in un penitenziario. I costanti ciak, che accompagnano i dentro e i fuori, di un cinema personale senza confini, delinea uno sguardo senza soluzione di continuità che nessun decoupage classico può costringere. Il cinema per Cioni è sia nel quadro, sia nel fuoricampo e sia intorno ad esso, è un cinema che vuole uscire dal frame, divincolarsi dall’assolutismo dell’immagine, al di fuori della cornice, dentro alle esistenze. E’ il processo stesso ad essere parte di un divenire filmico, è il percorso ad essere parte integrante di un dialogo tra l’autore, i personaggi, la realtà ed il pubblico. Non esistono muri, gabbie, barriere, frame, decoupage, non esistono impedimenti lì dove la vita fluisce. Lì dove il cinema racconta. Specchio interiore, riflesso di una serenità che inizia dove l’illustre drammaturgia, di Pasolini e de la Barca, finisce ma non termina, e continuando a scuotere le coscienze si apre alla confessione. Che siano galeotti, o voci di un sottosuolo arcano e mistico, o che siano racconti di detenzione in lager nazisti (entrambi riflessi di un passato da non dimenticare), il cinema di Cioni si presta all’ascolto ed attraverso la parola apre orizzonti di sognante verità. Accoglie e lascia andare, conservado il tragitto di un corpo e la scia di un'umanità.