Le cose belle
Una grande lezione di vita, un film commovente, giusto e prezioso
Che Giovanni Piperno sia uno dei più interessanti documentaristi italiani è cosa nota. Che Point Blank ne avesse apprezzato le gesta pure, tant’è che nella primavera dello scorso anno da queste pagine si è articolata una retrospettiva curata dalla Sezione I Sotterranei che ne ha scandagliato tutta la filmografia. Quello che più allieta in questa sede è però constatare come l’autore romano – anche qui col suo storico sodale Agostino Ferrente – si sia rialzato dagli esiti non sufficienti del suo ultimo lavoro (realizzato in solitaria) Il pezzo mancante.
A due anni di distanza dall’agiografia della famiglia Agnelli, Piperno torna a maneggiare materiali biografici, questa volta più veri, schietti e popolari rispetto a quanto fece con la più nota famiglia automobilistica italiana. Approda in sala Le cose belle, visto già durante le Giornate degli Autori dell’ultima Mostra di Venezia, che cronologicamente aggiorna e conclude le esistenze già immortalate dai registi nel loro Intervista a mia madre. Conseguentemente l’opera si presenta con uno statuto assai diverso dalla genetica documentaristica con cui siamo soliti interfacciarci, e l’imprinting è assolutamente inedito. Le cose belle è infatti un documentario lungo dodici anni, dal 1999 ad oggi, dove Piperno e Ferrente in questa dozzina di anni hanno raccolto le storie di alcuni personaggi della Napoli proletaria e provinciale. Con delle tecniche più proprie ai film di finzione, Le cose belle muove i suoi primi passi con qualcosa di molto simile ad un flashback: nel 1999 i registi incontrano una serie di giovani e giovanissimi e si fanno raccontare le loro esistenze, le loro problematiche, le gioie e soprattutto i loro sogni, i veri motori propulsivi dell’età della spensieratezza. Chi canta ai ristoranti e sogna di fare il conservatorio, chi data la propria avvenenza sogna un futuro come modella o nel mondo dello spettacolo. C’è chi ancora bambino sembra già un lavoratore navigato e sebbene possieda poca voglia di studiare sembra avviarsi tranquillo ad una vita di lavoro con occupazione sicura come se ne vedono poche al giorno d’oggi. Dopo questo preambolo spensierato, leggero, allegro e sgranato – e che immortalato con dei mezzi oramai desueti amplifica quel senso di amarcord che poi investirà lo spettatore – l’asse narrativo si interrompe, per catapultarci ai giorni d’oggi.
Il desiderio più morboso di qualsiasi spettatore è ad un passo dall’essere esaudito: vedere che fine hanno fatto i giovanissimi della fine degli anni ’90. Ma questa ossessione oscena è destinata a fare i conti con la cruda realtà sottoproletaria a cui i protagonisti appartengono e ai quali la crisi economica degli ultimi cinque anni non ha certo giovato. Il cantante è ora venditore porta-a-porta per una nota compagnia telefonica; l’aspirante modella sta per sostenere un provino come lap-dancer in un night club di quart’ordine; la bambina dai grandi sogni ma con il padre galeotto ha visto cadere tutti i suoi affetti – compreso il promesso sposo – nelle maglie della giustizia. E così ancora, per un quadro così vero, amaro e politico da togliere il fiato.
La tenacia di due documentaristi che hanno saputo pazientare dodici anni per ultimare un loro progetto qui rende loro merito mostrando tutta la bellezza e la potenza nel risultato finale. In una sorta di Saranno famosi al contrario, Piperno e Ferrente – come qualsiasi altro cittadino che è consapevole del Paese in cui viviamo – con tutta probabilità già nel 1999 conoscevano i destini beffardi a cui i giovani sognatori stavano per andare incontro. Ciononostante con affetto genitoriale e con grande empatia hanno filmato tutto durante quella fine di secolo. I sogni infranti si sono presentati e la realtà ha preteso di essere onorata in tutta la sua crudeltà e ferocia. Nonostante tutto, fra le righe, rimane la grande umanità dei protagonisti – comunque ancora ventenni – a quali la vita ancora non ha tolto del tutto il sorriso e l’entusiasmo. La bellezza dell’opera di Ferrente e Piperno sta proprio qui, letta in controluce negli sguardi dei protagonisti: sia che si voglia vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto Le cose belle rimane comunque una grande lezione di vita. Si può poggiare di più l’attenzione sull’arco umano che una società malata come la nostra fa fare ai propri cittadini; o si può anche vedere la tenacia – quasi darwiniana, diremmo – con cui gli stessi continuano a combattere per rendere dignitosa la propria esistenza. Comunque la si veda il risultato è commovente, giusto e prezioso.