A sei anni dall’adattamento cinematografico di Matteo Garrone, arriva sugli schermi di Sky una serie destinata fin dalle premesse ad essere un unicum nel panorama televisivo italiano. Gomorra: 12 episodi, 30 settimane di riprese, un team di sceneggiatori assai nutrito, ben tre registi e delle vendite internazionali da leccarsi i baffi, con già 40 paesi per i quali la serie è stata acquistata. Numeri da capogiro per un racconto seriale di altissimo livello, per il quale il libro di Saviano è il punto di partenza su cui impiantare la storia autonoma di un saga familiare camorrista: le vicende ruotano intorno al giovane Ciro Di Marzio, fedele uomo del boss Pietro Savastano, capomafia dal potere accentratissimo, temuto e riverito da chiunque. Oltre a questi due personaggi dall’indiscutibile peso c’è anche il figlio di don Pietro, Genny (curiosa e involontaria assonanza onomastica con l’ultras detto “’a carogna”, esploso mediaticamente proprio a ridosso della messa in onda della serie), pavido erede di un carismatico e sanguinario leader malavitoso del quale sarà chiamato prima o poi a prendere il posto.
La storyline, in linea con le necessità di una serial qualunque, si diluisce così in una dozzina di segmenti supervisionati da Stefano Sollima dietro la macchina da presa, ma diretti solo in sette occasioni su dodici dal regista della serie culto Romanzo Criminale. Le puntate con protagonista Imma, moglie di Pietro, hanno infatti goduto della regia e della mano femminile di un’autrice come Francesca Comencini, lasciando infine a Claudio Cupellini gli episodi che vedranno al centro l’ascesa criminale di Genny. Una ripartizione innovativa, per lo meno dalle nostre parti, che fonde sguardi e registri stilistici provando ad imporre anche alle produzioni per il piccolo schermo quel filtro tutt’altro che impersonale altrove sempre più diffuso. La posta in gioco è dunque alta, ma le basi da cui prendere le mosse sono estremamente solide. Sollima d’altronde è regista robustissimo, un grande imballatore di scene d’azione che conosce meglio di ogni altro i ferri del mestiere: la sua regia si conferma elettrizzante e brutale, con un’idea di ritmo forsennata e una maestria nell’avvincere per mezzo dei dettami dell’action movie davvero singolare. Il figlio di Sergio Sollima ancora una volta sembra muoversi al meglio nelle paludi e nelle oscure contraddizioni di personaggi al limite: oltre alla Banda della Magliana portata in tv, anche Acab – All Cops Are Bastards si esponeva senza remore al racconto dall’interno di un microcosmo militare ben preciso come la Celere: una scelta di prospettiva non innocua che si abbandonava ai fucili spianati di quanti erano già lì, pronti alle accuse di fascismo, di compiaciuta faziosità e indulgenza.
Una parola chiave, quest’ultima, che ritorna naturalmente anche a proposito di Gomorra, com’è inevitabile quando si entra nel terreno minato della cosiddetta spettacolarizzazione del crimine. Ma la forza di un lavoro come questo sta proprio nella capacità di evitare di gran carriera tale rischio, in misura perfino maggiore rispetto a Romanzo Criminale – La serie, dove l’aver maneggiato figure realmente esistite e quindi già vintage (pronte, per farla breve, ad avere i volti affissi sulle magliette) era garanzia di un vespaio di polemiche se possibile ancora più rumoroso. In quest’occasione è piuttosto il materiale narrativo ad essere affrontato con un tono inoppugnabile: la narrazione col focus rivolto rigorosamente all’interno del fenomeno camorrista, anche in questo caso, favorisce la sospensione di ogni implicazione etica a tutto vantaggio della rappresentazione, pura e semplice. Con vigore e gran fiuto per il cinema di genere, i suoi odori nitidi, la sua chiarezza espositiva. Gomorra – La serie è infatti costruito in modo egregio non solo dal punto di vista ideologico – con un’onestà entomologica feroce e romanzesca al tempo stesso, com’era lecito aspettarsi – ma anche sotto il profilo strettamente cinematografico. Il cast, di eccellente livello e derivazione teatrale, è infatti tutto al servizio di un’impalcatura granitica, egregiamente pensata. Godibile come un popcorn movie e galvanizzante come il più muscolare poliziesco di stampo americano, senza rinunciare a un’analisi psicologica il più particolareggiata possibile e al rap neomelodico dei bassifondi (un commento sonoro incredibile ed eccezionale). Il risultato complessivo, per quanto ci è stato concesso di vedere in anteprima (ovvero i soli primi due episodi, entrambi firmati da Sollima), è entusiasmante e pirotecnico, e lascia presagire esplosivi sviluppi. La sensazione è quella di trovarsi davanti a un kolossal, almeno nelle apparenze iniziali, vorace e impietoso come raramente è capitato di vedere nella tv italiana. A dimostrazione di ciò che può generare una sommatoria eccellente di professionalità se lasciata libera di lavorare su una scala di riferimento esponenzialmente ambiziosa.