Homo Botanicus
Il prezioso film di Guillermo Quintero è un diario sentimentale nei meandri della foresta tropicale colombiana.
Una lettera d’amore, un diario sentimentale, un viaggio naturalista nei meandri della foresta amazzonica colombiana: Guillermo Quintero realizza una preziosa opera di esplorazione, un film d’avventura che assume le forme di un atlante sentimentale, di una mappa di passioni, amori e incontri fuori dal tempo.
Il regista colombiano, spinto da un afflato simil-herzoghiano, segue il botanico Julio Betancur e il giovane allievo Cristian Castro nella natura vigorosa della foresta tropicale. Con pudico affetto, inquadra il loro rapporto: la passione peregrina e la generosa dedizione di Julio, lo sguardo fedele ed ingenuo di Christian, il loro raccontarsi nel corso del tempo e dello spazio tra orchidee, fiumi e fiori. Il film, prima ancora di perdersi nel verde della foresta, indaga gli sguardi dei due uomini, legge l’entusiasmo e la luce nei loro occhi alla scoperta di ogni nuova specie vegetale. Per questi due moderni avventurieri le piante sono come persone care a cui tornare ogni volta o, al contrario, nuovi amici da conoscere e da scoprire. Homo Botanicus vive nel sogno di un’unione totale tra gli uomini e la foresta, nell’armonia che dà voce ai discorsi amorosi dei due esploratori.
Julio e Cristian si muovono tra le piante amiche, classificano le specie, danno nome alle cose. Schedare, catalogare, nomenclare, distinguere qui significa intraprendere un discorso, trovare una nuova forma di linguaggio e di comunicazione: conoscersi e dunque amarsi, nient’altro che questo. Perché anche se tutta la foresta scompare, giorno dopo giorno, la sua storia e quella di chi l’ha scoperta rimangono impresse in questa relazione. Tra il botanico e la pianta si crea una simbiosi, un campo-controcampo che li rende un’unica essenza. Raccontare la storia delle piante significa raccontare la propria storia: Homo Botanicus, per l’appunto. “Una pianta” dice Betancur “è un poema in una lingua sconosciuta”.
Quintero interpreta questo poema, tra camminate, visioni caleidoscopiche, immagini d'archivio e campi lunghi che svelano paesaggi estatici. Scopre il cinema più antico del mondo perdendosi fra le orchidee, trova tra rami, piante e alberi le radici di ogni storia d’amore. In fondo questo piccolo, splendido film non inscena altro che il più atavico dei gesti, quello sentimentale. Un’infatuazione forse non corrisposta, perché le piante non rispondono con la stessa voce degli uomini. Ma Julio è come l’innamorato-semiologo che interpreta i segni, legge la storia delle sue innamorate, le salva – le preleva – dal loro tempo. Il botanico diventa allora un cartografo, l’inventore del grande libro con cui raccontare nuovi viaggi sentimentali, dalla foresta all’Erbario dell'Università della Colombia dove, da qualche parte, esistono storie ancora non scritte: quelle di tutte le specie mai classificate, delle piante sconosciute, delle storie d’amore che ancora non conosciamo. Migliaia di specie, migliaia di narrazioni, ma l’ignoto rimane sempre davanti a noi.