Santiago, Italia
Nuova incursione nel documentario per Nanni Moretti che ancora una volta realizza un film molto sentito e costantemente rivolto al presente.
Santiago, Italia è un film su un'Italia che non c'è più, su una sorta di paradiso perduto, idealizzato non tanto dalla nostalgia ma da esperienze concrete relative a un passato prossimo che, guardato con gli occhi di oggi, sembra lontanissimo. Quel titolo che fin dall'annuncio ha rimandato a un corto circuito, a un errore, a uno smaccato parallelo, viene riempito di una lunga serie di significati e doppi sensi: è ovviamente l'ambasciata italiana, è la comunità di cileni in Italia ed è il nostro paese nell'epoca in cui la vicenda cilena era sia una fondamentale questione politica, sia un tema molto sentito dal punto di vista sociale. Presentato in chiusura della trentaseiesima edizione del Torino Film Festival, l'ultimo film di Nanni Moretti è un'opera profondamente militante, commovente e apertamente schierata, come già altre volte è capitato al regista di Palombella rossa.
Il soggetto del film è il golpe cileno dell'11 settembre del 1973, giorno in cui le truppe armate facenti capo a Augusto Pinochet rovesciarono con la violenza il governo socialista di Salvador Allende, democraticamente eletto, seppur con una maggioranza relativa e sottilissima. Al centro del documentario ci sono i rifugiati che in quei giorni hanno trovato asilo nell'ambasciata italiana a Santiago e successivamente si sono trasferiti in Italia. Il film affronta la vicenda da diversi punti di vista divisi in sezioni esplicitate da apposite didascalie: si inizia con lo spaccato prettamente politico contenente i valori del movimento facente capo ad Allende, si passa al racconto di quel famigerato 11 settembre, si continua spostando i focus sull'ambasciata italiana, il cui ruolo fu fondamentale in quei giorni di grandissima crisi, e si finisce con il viaggio in Italia e il racconto dell'integrazione dei rifugiati cileni.
Moretti unisce una serie di preziosissimi video di repertorio a una ricca quantità di interviste ai superstiti di quel periodo, facendo domande a persone di diversa estrazione, mettendo a fuoco tanti punti di vista senza mai perdere la coerenza del suo sguardo. È davvero impressionante l'entusiasmo di queste persone che ormai anziane ricordano con grandissimo orgoglio la portata politica di Unidad Popular e dell'unico governo socialista davvero democratico, lontanissimo dall'autoritarismo dei regimi totalitari e dalle gerarchie interno di altri sistemi di ispirazione socialista. Dal punto di vista strettamente politico emerge quanto già all'epoca ci fosse il conflitto tra una componente più morbida convinta dell'importanza di non inimicarsi la borghesia e una più radicale, certa che ormai il partito era abbastanza grande da poter prendere decisioni forti e in maniera convinta.
La parte del film incentrata sull'11 settembre è costruita alla perfezione e può giovare di una serie di video originali di grandissimo impatto, come quelli che riguardano la violenza delle truppe militari e il bombardamento del Palazzo Presidenziale. Moretti intervista uomini e donne cileni mettendo a fuoco punti di vista molto diversi, concentrandosi in particolare su alcuni eventi molto brutali come le torture. In quei giorni di settembre lo Stadio Nazionale divenne un campo di concentramento dove avvenivano torture ed esecuzioni; a questo proposito sono molto forti le parole di Victoria Saez, che nonostante abbia lottato con tutte le proprie forze e con grande integrità, dichiara di non potersela prendere con chi sotto tortura ha fatto il suo nome, perché se questo ha significato far smettere chi gli stava somministrando scariche elettriche ai testicoli allora è stato giusto così.
La forza di Santiago, Italia consiste nel riuscire a dare voce anche agli uomini che stavano con Pinochet, a coloro che in quegli anni sono stati protagonisti o testimoni di violenze e torture. Pur permettendo loro di raccontare la propria esperienza, Moretti è sempre rigorosissimo nel non consentire mai a quel punto di vista di appropriarsi del baricentro del film, mettendo all'angolo l'omertà e l'egoismo di quelle persone in maniera costante.
La voce dei militari è quella di chi specifica la propria identità apolitica, mascherando la complicità attraverso una sorta di finta ignoranza di ciò che stava succedendo. Di fronte alla rabbia di chi in quegli anni è stato con Pinochet e adesso vorrebbe che tutto fosse perdonato, zero a zero e palla al centro, Moretti non arretra di un millimetro, rivendicando la propria assoluta parzialità di sguardo (perché è nell'imparzialità che spesso si annidano le peggiori pulsioni reazionarie), sbattendo in faccia a queste persone il peso di uno degli eventi più tragici del secondo Novecento.
A proposito di violenza, il film dà voce anche alla prospettiva femminile, sottolineando quanto la tortura che avveniva spesso attraverso scariche elettriche su strutture in ferro fosse direttamente collegata all'abuso sessuale. Il sessismo era ovviamente all'ordine del giorno e i traumi subiti sono stati incalcolabili, tuttavia una testimonianza importante riguarda una donna che racconta quanto le femmine essendo più abituate a parlare delle loro sofferenze siano riuscite ad elaborarle con meno problemi, mentre gli uomini comunicandosi poco o nulla le rispettive fragilità portano ancora dentro ferite che rimangono aperte a decenni di distanza.
A dare una possibilità e una speranza a tantissimi cileni è stata però l'Italia, prima con la sua ambasciata, poi accogliendo tantissimi rifugiati sul suo territorio, offrendo loro lavoro, casa e famiglia. I racconti delle giornate in ambasciata sono commoventi ma anche molto divertiti, soprattutto perché si tratta di testimonianze di persone che all'epoca erano venti-trentenni e che quindi hanno vissuto questa esperienza di resistenza come un'avventura continua, per quanto molto spesso caratterizzata da grandi sofferenze. In alcuni momenti il film riesce anche a strappare un sorriso allo spettatore, ad esempio quando la giornalista Patricia Mayorga racconta di come all'interno dell'ambasciata si era istituito una sorta di socialismo reale, che livellava le differenti estrazioni sociali obbligando tutti a cooperare per il bene comune.
L'ultima parte del film è quella più amara, quella in cui si concentrano le parti più positive dei racconti degli intervistati che però al contempo lasciano gli spettatori ammutoliti per la radicale differenza tra il tessuto sociale e politico italiano attuale e quello dell'epoca, restituito dalle interviste dei protagonisti. Sono donne e uomini che senza affetti, vestiti o soldi si sono trovati catapultati in un paese straniero dall'altra parte dell'Atlantico, un luogo governato da una forza politica alleata degli Stati Uniti (e quindi nemica di Allende) ma con all'interno un Partito Comunista fortissimo, sacche di estrema sinistra molto ampie e un vivo interesse per la questione cilena. Commuovono le parole del traduttore Rodrigo Vergara, il quale chiama ancora l'Emilia Romagna “Emilia Rossa”, raccontando della gioia provata stando in luoghi in cui il 70% votava comunista e in cui veniva accolto come un eroe, trovando lavoro e stima da parte di tutti.
Santiago, Italia è il film in cui Nanni Moretti torna a ricordarci quanto ancora abbiamo bisogno di lui, del suo equilibrio, del suo sguardo, della sua capacità di sollevare le coscienze e del suo coraggio di indicare senza mezzi termini la strada da seguire. Perché è questo che fanno gli intellettuali.