Hardcore
Dopo quasi quarant’anni, Hardcore è l’oggetto filmico più trasparente per aderire e comprendere la poetica di Paul Schrader.
Se si guarda Hardcore con gli occhi ancora abbacinati da First Reformed, risulta palese come l’esperienza del male rappresenti una parte integrante, necessaria, nella storia della salvezza individuale e collettiva. Sono passati quasi quarant’anni eppure l’opera seconda di Paul Schrader è l’oggetto filmico più trasparente per aderire e comprendere la poetica dell’autore.
Il film si apre a Gran Rapids, in Michigan, località-presepe isolata all’interno di un perenne Natale: qui vive il protagonista Jake VanDorn insieme a sua figlia Kristen; qui è nato e cresciuto Paul Schrader. Quella dell’autore è una figura leggendaria che sembra appartenere a una dimensione fantastica ed antica. La famiglia del regista apparteneva, come quella di Kristen VanDorn, alla Chiesa Cristiana Riformata. Sia Schrader che Kristen rappresentano, in questo senso, due figure separate dal mondo circostante, protette in una culla fuori dal reale, un microcosmo ermetico che vive secondo la propria fede e le proprie convinzioni.
Gli anni cinquanta di Paul Schrader non sono quelli di James Dean e Marilyn Monroe ma quelli austeri di un’altra America, calvinista ed isolazionista. Gli anni settanta vissuti da Kristen VanDorn, invece, non hanno mai conosciuto la liberazione sessuale, le rivoluzioni studentesche, la perdita dell’autorità, la messa in discussione delle gerarchie. Kristen è al riparo, estranea al suo tempo, eppure ansiosa di conoscere il mondo…e il sesso.
Il giovane Paul Schrader doveva rispettare un vecchio decreto che impediva ai membri della Chiesa cristiana riformata di vedere film. La folgorazione sulla via di Damasco avviene in maniera estremamente peculiare: a diciassette anni l’autore vede la sua prima pellicola. E capisce…capisce che il cinema è un linguaggio con potenzialità altre: guardando Ozu, Bresson, Dreyer (cui dedicherà Il trascendente nel cinema, tesi di laurea di inestricabile valore) comprende che il sacro, il Grande Altro, è l’essenza stessa delle immagini in movimento. Un fantasma in fuori campo che alimenta, innerva, produce le immagini. Il trascendente è invisibile agli occhi, travalica sempre e comunque il fenomeno (quando detestava, Schrader, la rappresentazione del divino nella Hollywood di Griffith o De Mille).
Appena maggiorenne, alla stregua del figliol prodigo, il futuro regista fugge via da Gran Rapids per scoprire la propria vocazione. In un certo senso anche la storia di Kristen, in Hardcore, è quella di un romanzo di formazione distorto: la ricerca del mondo – e questo è un tratto di matrice radicalmente apocalittica – coincide con l’abbandono ai mali del secolo, l’esperienza lassista, la scoperta del sesso (il grande demonio per chi legge il peccato originale come peccato di natura sessuale). L’ossessione per i sensi, del resto, è la genesi di un cinema – quello schraderiano - che ha sempre indagato le voluttà del corpo, la cupidigia e il desiderio proibito, l’idea di una carne viva che deve essere sacrificata, perdersi per ritrovare la purezza immacolata dello spirito. Kristen entra nel mondo della pornografia, vive l’esperienza del male, al fine di costituirsi come essere umano, per dimenticare la luce in un chenosi più letterale che allegorica. E proprio qui ritrova il suo orientamento.
La figura centrale di Jake VanDorn (interpretata da un sublime George C. Scott) è ancora più affascinante. La sua parabola aderisce a quella di John Wayne in Sentieri Selvaggi, e non poteva essere altrimenti: Hardcore è la discesa negli inferi di un calvinista che da Gerusalemme si perde a Babilonia. Qui le streghe cavalcano le bestie. La ricerca della figlia perduta diviene l’occasione per mettere alla prova la propria fede, per scontrarsi con i propri demoni, per mortificare la propria integrità. Come Giacobbe che lotta contro l’angelo nella più lunga delle notti dell’anima, Jake subisce su di sé brutture e nefandezza del mondo. Il suo corpo teso è in trazione continua, come fosse sempre sul punto di saltare in mille pezzi. Hardcore racconta la lotta incessante tra amore e odio, tra violenza e santità, tra natura e grazia: il Male è dentro di noi e la capacità di discernimento rischia di esserne offuscata.
Risultano straordinarie allora le notti di Jake, i lenti carrelli in cui Schrader lo riprende mentre dorme, come fosse condannato a un incubo senza fine, come se nel sonno producesse gli incubi di un mondo senza Dio...un mondo perduto. O esemplari sono le inquadrature in cui Jake appare come il riflesso distorto dello specchio oscuro della lettera ai Corinzi: quando torneremo a vedere faccia a faccia, quando torneremo a guardare il volto di Dio?
Jake è disposto a tutto pur di ritrovare la figlia, anche se questo volesse dire perdere se stesso: sacrificare la propria persona, smarrirsi nel mare del mondo pur di salvare l’Altro (in fondo Taxi Driver non parla di qualcosa di molto simile?). Questo significa lasciar riemergere i propri diavoli: il peccato è contagioso, l’uomo – secondo la dottrina calvinista – non può che tendere al male, strutturalmente, ontologicamente. Solo la grazia divina è in grado di salvarlo con un intervento irresistibile...ma soprattutto gratuito. Questo fardello che spinge Jake verso la Terra, che lo separa dal cielo, lascia affiorare un universo di rimozioni inconsce. Lo spettro della moglie che lo ha lasciato continua a perseguitarlo: Jake, gradualmente, permette che la violenza affiori in superficie, assorbendo i sensi, celando l’intelletto. Schrader è attentissimo a registrare qualsiasi scossa emotiva, piccolo impulso, singolo impeto di rabbia che sembra riattivarsi nel suo protagonista. L’esperienza del peccato coincide col risveglio di mostri antichi e pericolosi.
Il regista scava nei recessi più oscuri della mente e ritrova tutto il marciume dell’essere umano. Eppure, nonostante tutto, anche quando la carità e la fede sembrano spegnersi, il cuore ritorna il muscolo sacro per eccellenza. L’amore non viene mai meno con tutta la grazia che può infondere. La consapevolezza raggiunta da Jake è davvero abissale: l’inferno non sono gli altri, l’inferno non è il mondo, l’inferno è dentro di noi. Permane dunque la prospettiva dolorosa di dover convivere con se stessi. In fondo non c’è vero lieto fine nel film schraderiano: una volta conosciuto il tempo della terra, l’accesso all’Eden è stato interdetto. Perfino Grand Rapids non sarà più la stessa: il ritorno è impossibile fino alla fine dei tempi. L’angelo perduto rimane il personaggio straziante di Niki, abbandonata nell’estasi febbrile di un corpo-merce, impossibile da salvare.
Ormai è troppo tardi.
"Torniamo a casa" diceva John Wayne a Natalie Wood in Sentieri Selvaggi, dopo aver affrontato demoni ed ossessioni indiane. Ma dov’è ormai la casa? La risposta, per forza ambigua, contrita e dolorosa, risiede nel resto della filmografia di Schrader che, idealmente, potrebbe concludersi con il bacio finale di First Reformed: un istante di luce, improvviso, epifanico, può salvare un mondo di tenebre. Per un momento, uno solo, dimentico di tutto il resto. Passato e futuro non hanno più importanza, rimane solo la gioia senza fine di un presente senza tempo. Un miracolo, estraneo allo scorrere delle cose…solo un miracolo.