House of Evil
Boni e Ristori mettono momentaneamente da parte gli zombi e firmano il loro film migliore
L’exploitation nasceva per offrire al pubblico tematiche che le major rifiutavano di trattare. Quando, da Lo squalo in poi, Hollywood comincia a produrre storie di serie B coi soldi della serie A il cinema da drive-in entra inevitabilmente in crisi. Il sottobosco degli indipendenti trova nuovamente la sua ragione d’essere con l’avvento dell’home video offrendo agli spettatori non più un’alternativa ai puritani film hollywoodiani, bensì centinai di epigoni che sfruttano esplicitamente il successo di un grosso blockbuster. Tale istinto di sopravvivenza è stato ben metabolizzato da Luca Boni e Marco Ristori, i quali hanno cavalcato la moda degli zombi con quattro titoli prima di fiutare il cambio di rotta del pubblico, ora indirizzato a un ritorno in auge dell’horror clericale. Se l’energumeno contaminato in Zombie Massacre era palesemente debitore al mostro di Resident Evil: Apocalypse, fin dal trailer di House of Evil è visibile un demone non dissimile da quello incontrato in Annabelle. Alla sceneggiatura ci sono però Lorenzo Paviano e Raffaele Picchio, già autori di The Blind King. Non bisogna perciò confidare in esorcisti e sante donne in grado di ricacciare il diavolo negli inferi con un rosario in mano e un anatema parrocchiale. Con avvedutezza, Paviano e Picchio fanno solo finta di ispirarsi ai successi di James Wan, mentre la loro storia è strutturalmente molto più vicina a Shining e a un altro capolavoro del cinema orrorifico che sarà bene non citare per non svelare troppo.
La malefica casa del titolo è la nuova abitazione di Kate e John, nonché del loro cane Ronnie. Gli animali come i bambini sono i primi a percepire presenze ostili, mentre la coppia ci metterà alcuni mesi per scoprire che all’interno delle isolate mura domestiche il precedente inquilino massacrò la propria famiglia. Nonostante la violenza fosse terrena, la follia dell’uomo appariva generata da forze occulte. Ora tutto sembra predisposto perché la storia si ripeta. A differenza del classico di Kubrick, nel film di Boni e Ristori non è chiaro se a impazzire sia l’uomo o la donna. L’attenzione dei registi si focalizza principalmente su quest’ultima, specie dopo l’annuncio della tanto attesa gravidanza. Se John stia diventando una minaccia per la compagna e il figlio o se Kate sia resa paranoica dalle circostanze non è il punto cruciale della questione. In entrambi i casi la vera responsabile appare essere l’abitazione. Il rifugio di un nucleo familiare dal resto della società, idealmente inteso come luogo sicuro per i propri abitanti, si tramuta invece nel centro e promotore di un’aggressività domestica, spesso ignorata o tollerata dal vicinato. In House of Evil il male non è un concetto astratto ma un’entità fisica in grado di attaccarsi alle pareti come muffa per poi assumere una sembianza antropomorfa.
Il demone creato da Carlo Diamantini, fedele collaboratore della coppia di registi, non sfigurerebbe nemmeno in produzioni da uno o due zeri in più nel budget. Degna di nota è anche la fotografia satura di Tommaso Alvisi che, specie nella prima parte, non disdegna curati movimenti di macchina. Oltre ai protagonisti, Lucy Drive e Andrew Harwood Mills, anche gli attori secondari (Désirée Giorgetti, David White, Eleonora Marianelli) provengono dal cast del precedente Zombie Massacre 2: Reich of the Dead, altro film della coppia empolese da non sottovalutare, e risultano estremamente credibili. I difetti di passate produzioni come l’eccessiva staticità delle inquadrature, la mancanza di un tema musicale definito, la poca verosimiglianza di alcuni personaggi sono ormai lontani. Con House of Evil Boni e Ristori firmano la loro opera migliore.