Hyena
Si salvi chi può e chi non può perisca. Hyena di Gerard Johnson è un abbaglio al neon di efferatezza e corruzione, tra piste di coca e piste da ballo
In una Londra multietnica e notturna striscia il seme della corruzione, una polveriera pronta a deflagrare, tra traffici illeciti, prostituzione, droga, dove la stessa polizia è preda della violenza che tra i suoi intestini si germina. La giungla è territorio di venagione, cacciatori, iene, serpenti, che si combattono nel loro habitat, in locali notturni e tra neon colorati, dove si entra e si esce, in un continuum spaziale che elude i limiti della città tra interno ed esterno, in un sottobosco selvaggio dove la proprietà privata è diventata zona di caccia grossa. Abusi e violenze sessuali, efferate esecuzioni con armi da taglio, disfacimento di cadaveri dentro vasche troppo poco capaci per contenere tutto il sangue che in vita li riempiva, Hyena di Gerard Johnson è un action/thriller da strada che non risparmia nessuno, che centra lo sguardo sul marcio senza distinzioni di appartenenza, che sia corporativa o che sia etnica, dove tutti sono eroi solo per loro stessi, dove tutti sono villain quando gli conviene esserlo, ma soprattutto dove tutti sono animali quando serve per sopravvivere. Corpi che si nutrono della droga che consumano, benzina per muscoli pronti ad esplodere, cameratismo da battaglia in zone d’ombra senza abbagli di buonismo illuminante, senza spazi grigi dove far sopravvivere la morale o l’etica, solo oscuri animi che macchinano oscure voglie che nutrono oscuri obiettivi personali, in una partita tra disperati dove chi perde muore.
"Non sono mica gli anni ’80" recita lo sciacallo degli Affari Interni rivolgendosi al suo odiato collega della Narcotici, ma in Hyena gli anni ottanta fanno il giro del globo ed invadono Londra, tinteggiandola con le sue colorazioni acide, attraverso carrellate grandangolari laterali per fughe fortunate dopo accordi per traffici finiti male, abbagliando gli animi dei protagonisti troppo foschi per lasciarsi rischiarare dal lindore eroistico. Micheal Logan è un poliziotto della narcotici che organizza, insieme alla sua task force, delle violente incursioni in zone di spaccio, arrestando i criminali e saccheggiando le refurtive. Non disprezza l’omicidio, la violenza, la concussione, la corruzione, l’abuso di alcol e droga; naso incipriato e manganello facile, dovrà vedersela con due fratelli albanesi che, una volta soppiantato il precedente boss turco, vogliono monopolizzare il mercato londinese. La polizia in Hyena è un serpente che si nutre dei propri figli, che si avvolge su se stesso combattendosi, spiandosi, tradendosi, dalla Narcotici alla Buoncostume, dagli Affari Interni ai grandi capi sulle loro comode poltrone, chi dovrebbe garantire l’ordine in realtà semina il caos e la disperazione per le strade.
Impossibile non ricordarsi dei pedinamenti della trilogia Pusher di Refn mentre si osserva Logan che attraversa i diversi ambienti di una città intestina. Impossibile non associare i colori della notte del suo Drive ai movimenti della macchina che si sposta verso il locale da saccheggiare ad inizio film. Johnson ci presenta un tenente cattivo, consumato dalla piaga degli eventi da egli stesso innescati, ripulendolo dell’immagine cristologica di un Ferrara, del senso del peccato e redenzione che una figura simile innesca nella memoria spettatoriale – e purtroppo questa incapacità di approfondimento drammatico del personaggio, o ambivalenza sfumata, risulta come un limite nella caratterizzazione (nonostante questo sia un film che tenda più all’action che all’introspezione autoriale); ci presenta un cumulo di sporcizia umana senza via di fuga se non verso il prossimo massacro, l’ultima risoluzione dei conti, la sola che non ci viene mostrata, verso quella fine improvvisa tanto quanto un colpo inesploso, o un pugno mancato. Espressioni di una fine imminente, di sangue versato che non ci verrà mostrato, catalizzando l’attenzione verso quei tre primi piani finali che sintetizzano lo spargimento di sangue che avverrà di li a poco, forse oltre i titoli di coda o forse solo nell’immaginazione dello spettatore. Hyena scivola via, sequenza dopo sequenza, lasciando dietro di sé una lunga traccia di sangue, come un corpo morto britannico trascinato su un mattonato ruvido francese - come i polizieschi di Oliver Marchal - presentando un parco attoriale – Peter Ferdinando, Stephen Graham, Neil Maskell, Richar Dormer – il meglio del cinema britannico contemporaneo – sempre in tono e in sintonia con i caratteri esposti, godendo tra l’altro di una colonna musicale realizzata da i The The, gruppo cult britannico, oltre che una eccezionale fotografia firmata Benjamin Kracun. Davvero niente male.