Il potere dei sensi

All’interno di uno spazio spoglio, apparentemente teatrale, si muove una donna completamente nuda che mette in scena se stessa come corpo desiderante, toccandosi ed offrendosi all’occhio della macchina da presa, che lentamente si muove in orizzontale andando a scoprire un altro spazio nel controcampo: la platea di un night club. Quello che credevano uno spettacolo privato, una sorta di rituale inserito in un set astratto si rivela in realtà una vera e propria messa in scena con tanto di pubblico: non eravamo i soli a guardare. Come uno spettacolo di magia, Il potere dei sensi di Jean-Claude Brisseau espone sin dalle primissime inquadrature il cuore del proprio discorso mostrando da un lato l’artificio che vi è dietro ogni rappresentazione – in questo caso specifico la natura artificiosa dei gesti della donna – dall’altro come l’arte seduttiva non possa fare a meno di un testimone, di uno sguardo che desidera quel corpo, restando però immobile nella sua condizione di passività. L’incontro tra le due giovani protagoniste avviene all’interno di questa esibizione ed è proprio a partire dal piacere voyeuristico che tale spettacolo innesca che la loro amicizia troverà strada facendo un punto di contatto e una comunione d’intenti: utilizzare il proprio corpo come mezzo per la scalata sociale.

Le regole sono chiare: non concedersi subito, conquistare l’altro con ogni mezzo e soprattutto mai innamorarsi. Il teorema che le due donne cercano di dimostrare con calcolata e scientifica freddezza si rivela ovviamente fallace: le ragioni del cuore non sempre coincidono con quelle della carne e non sempre colui che si ha di fronte è quello che sembra essere. Così tra un gioco e l’altro, una esibizione e l’altra le due protagoniste scoprono amaramente quanto in realtà lo stesso gesto seduttivo nasconda in sé delle insidie.

Se è vero che attraverso questi comportamenti, per così dire liberatori, le donne arrivano ad avere maggiore consapevolezza di se stesse, è altrettanto vero di come l’atto di svelarsi – che nel film procede esattamente come uno spogliarello, un indumento in meno ogni volta – metta in mostra anche le fragilità della persona. E’ quello che succede a Nathalie e Sandrine: dopo l’eccitazione dei primi giorni e la conquista di un posto di lavoro sicuro in una banca, le due ragazze si trovano coinvolte in un gioco più grande di loro che le vede manipolate da Christophe (figlio del proprietario della banca). Così i ruoli si ribaltano: da carnefici le protagoniste diventano vittime ovvero protagoniste di grandi orgie che anziché esaltare il loro potere seduttivo lo azzera, cancellandolo nella sovrapposizione di corpi che si confondono nel fotogramma.

Con uno schematismo a tratti irritante Brisseau conduce questo gioco perverso sul sesso come se dovesse esporre una tesi. In modo molto simile a The Prestige di Nolan, il regista francese utilizza i propri personaggi come delle pedine da muovere a proprio piacimento, e di cui si serve solo per portare avanti la propria particolare visione sul mondo femminile. Quella che Brisseau mette in scena è prima di ogni altra cosa un’indagine sulla donna, sulla sua psiche, sul potere e il fascino del corpo, sul concetto di voyeurismo e rappresentazione, eppure alla fine emerge una visione alquanto stereotipata, con le protagoniste che si divertono a mostrarsi in pubblico e a giocare con i propri “spettatori”, come se l’essenza della femminilità si potesse tradurre e rinchiudere esclusivamente nell’atto esibizionista, nell’esposizione di sé. E’ anche per questo motivo che alla fine il mistero risulta intatto e ancora una volta rinviato nel fuoricampo.

Autore: Giulio Casadei
Pubblicato il 18/02/2015

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