Il sud e' niente

Esordio alla regia di Fabio Mollo, dramma asciutto e minimalista che racconta un'adolescenza difficile

Fabio Mollo (Reggio Calabria, 1980) è balzato all’attenzione del grande pubblico con il suo terzo film Il padre d’Italia, recentemente distribuito dalla Good Films, interpretato da Luca Marinelli e Isabella Ragonese. Il suo percorso nel cinema ha inizio però nel 2013 con il lungometraggio Il sud è niente, dramma asciutto e minimalista che vede protagonista l’esordiente italo-svedese Miriam Karlkvist nel ruolo dell’adolescente Grazia.

Film di poche parole – sussurrate, confuse, a volte urlate con rabbia – questo racconto agile e incisivo punta tutto sulla gestualità peculiare e sulla corporeità androgina del personaggio principale: acerba, rabbiosa, brusca e chiusa in se stessa, la ragazza è ferita in modo lacerante dalla scomparsa del fratello Pietro, ma forse ancor di più dall’opprimente e insopportabile muro di silenzio che ogni giorno è costretta a fronteggiare. Il padre, infatti, incapace di scendere a patti con il dolore per la perdita del figlio, rifiuta perfino di nominarlo. Lo stesso atteggiamento di negazione lo accompagna nella (non) lotta quotidiana con la malavita locale: non contemplando neppure la possibilità dell’opposizione è nei fatti imprigionato nella più totale omertà.

Grazia è così abbandonata a se stessa, nella sofferenza e nell’incertezza. Ogni suo ostinato tentativo di far luce sulla misteriosa morte del fratello incontra mutismo, insofferenza e perfino rancore. Ma il non detto torna sempre in superficie, e ogni volta con più veemenza: lo fa con la portata perturbante della visione onirica, con l’ardore del risentimento represso per anni, con quel groppo al cuore che impedisce ai personaggi di guardare avanti (il padre) o di crescere (Grazia) e li incatena al passato.

Sono soltanto due le preziose presenze in grado di mediare tra l’universo interiore della ragazza, tormentata e impenetrabile, e la realtà esterna, una Calabria livida, periferica e svilita: la nonna, per la quale il ricordo di Pietro non è un pericoloso tabù, e Carmelo, coetaneo di Grazia e figlio di giostrai di passaggio. Ma anche l’incontro con lui – inizialmente uno scontro vero e proprio - sarà brutale, e solo in un secondo momento arriveranno la sintonia e la solidarietà. Infine, dopo aver scosso e aggredito definitivamente quel mondo pietrificato che la circonda, la protagonista troverà la verità – una verità scomoda ma nonostante questo liberatrice – e potrà accettare la sua femminilità e la sua sessualità, fino a quel momento completamente inibite e soffocate.

Non solo un credibile viaggio introspettivo, l’ottimo esordio di Mollo è anche un atto d’accusa non velato contro la colpevole marginalizzazione di una certa dimensione geo-sociale, strategicamente dimenticata e volutamente trascurata. I luoghi e i contesti in cui la protagonista si muove appaiano infatti non come uno sfondo casuale e accessorio ma come una concausa del suo stesso malessere, che diventa tanto più potente quanto più attorno a lei – in quanto giovane e in quanto donna – l’ambiente si fa deserto e arido, privo non solo di stimoli ma perfino di vie di scampo, e soprattutto pericolosamente inquinato da un’organizzazione criminale i cui tentacoli mortiferi hanno silenziosamente avvolto ogni cosa, fino ad entrare, letteralmente, in casa di Grazia, nell’indifferenza generale.

L’altra faccia del Sud, la cui descrizione trova qui un senso particolare e preciso, è invece quella della religione, del folclore, dell’irrazionale: una dimensione che da un lato è restituita con sguardo acutamente documentaristico, e dall’altro è – per i protagonisti – l’unica possibile via di sfogo di quel rimosso, di quel non detto che ostinatamente torna indietro. E’ attraverso questo spiraglio, ferita aperta sull’emotività trattenuta, che Grazia riesce ad entrare in contatto con Pietro e a trovare la forza per portare fino in fondo la sua tenace e vivificatrice ricerca della verità.

Autore: Arianna Pagliara
Pubblicato il 30/06/2017

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