Il tempo delle api
Invito alla scoperta di un mondo e di un lasso di tempo trascorso con sguardo (ri)posato su un'oasi di vita quotidiana.
Il tempo delle api, opera d’esordio al lungometraggio dei registi Rossella Anitori e Darel Di Gregorio in concorso al Visioni Fuori Raccordo 2017, ci invita alla scoperta di un mondo e di un lasso di tempo appunto, i quattro anni trascorsi con sguardo (ri)posato su un’oasi di vita quotidiana. Un’istantanea che sprigiona la pulsione e l’entusiamo di avere un piccolo grande sogno di libertà e condivisione e di sporcarsi le mani e metaforicamente anche la faccia, per realizzarlo con onestà, badando bene alla trappola delle illusioni e alla stella polare del realismo. L’esperienza con-vissuta e documentata dagli autori prende le mosse dall’esperimento di allevamento delle api condotto secondo un metodo non convenzionale e non riconosciuto, per insinuarsi delicatamente, in parallelo al filone ambientalista, negli spiragli di luci e ombre di quello che è invece l’esperimento (sempre attuale?) di una comune di giovani famiglie immerse nel verde alle porte di Roma. Le riprese domestiche non tradiscono la presenza di Tv ed elettromestici di ultima generazione, ma contaminate da ben altre generazioni culturali, risuonano di canti al vibrare di chitarra e fisarmonica, di profumi da forno a legna. I lavori di fattoria e i raccolti scandiscono le stagioni secondo i principi dell’agricoltura sinergica, perseguita dai ragazzi protagonisti, Mauro e Valerio, alla ricerca di un ritrovato equilibrio di natura che permetta, probabilmente prima a loro stessi e poi, quasi per traslato alle famiglie di api, di concepire un ecosistema d’autosufficienza (nell’apicoltura tradizionale le api vivono in totale dipendenza dall’uomo e quando poste nel sistema intensivo rischiano persino la scomparsa della specie) tale da resistere alle malattie senza il ricorso ad alcun trattamento artificiale. Ed ecco qui il banco di prova, il piano scentifico e deontologico su cui la permacoltura, il loro metodo – quasi fede mutuato dalle teorie di un argentino, trova le maggiori difficoltà e resistenze. Da un lato il principio fondante che dà priorità al benessere delle api a discapito della maggior produzione di miele, dall’altro gli esiti non garantiti e i potenziali sviluppi di epidemie che allarmano gli altri apicoltori, soprattutto quelli nella medesima zona. Tuttavia è proprio sul terreno dell’insicurezza che Mauro e Valerio coltivano quello che credono la loro più grande risorsa e che climax e macchina da presa non si esimono più di enfatizzare, ovvero divulgare empatia e sensibilizzazione al metodo, se non ancora convinzione nelle procedure del metodo stesso. Che la natura sola torni a governare il ciclo della vita su cui specula l’uomo è l’utopia dinanzi a cui cedono i cuori romantici e i rivoluzionari, e come ogni rivoluzione vuole, anche su questo caso incombe la minaccia della dispersione e rivalsa di intenti. Nello smarrimento di un solo primo piano si sentono tremare le fondamenta di una amicizia e crepe si propagano nelle certezze, senza con ciò scordare di cogliere persino un insospettabile colpo di scena nei ruoli di genere, sino ad allora mostrati: ma la donna nella comune è solo madre affettuosa? che apporto può dare al progetto? Questo sub-plot appena accennato non trova evoluzione nell’economia della narrazione, pur capeggiando sottesamente nell’immagine di locandina che la ritrae un passo dietro ai protagonisti. Questa vita al tempo delle api è dunque una parentesi, che pur militante (il film ha potuto contare su un crowdfunding di rete sia di amatori che di professionisti del settore) si dipana leggiadra nella musicalità e nelle inquadrature ravvicinate al microcosmo strutturato di questi insetti, che nell’immaginario più recente rispolverano "Le meraviglie" della poetica cinematgrafica nostrana di più ampio respiro. Lì dove ancora al fianco dell’apicoltura ribolliva la rivolta contro gli stili sociali dominanti e la resa dei conti era un appuntamento tra promesse e desideri.