Indivisibili
Edoardo De Angelis, epigono del cinema italiano, inchioda sul grande schermo la prostituzione delle illusioni e della fede
Tanto cinema ha mostrato come tra la gente comune si celino le più autentiche figure cristologiche, anime e corpi ai margini, vittime sacrificali delle espiazioni e resurrezioni comunitarie. Ma da qui, dalla messa in scena di una antropologia martirologica, alla drammaturgia del simulacro vivente nel mercato dell’idolatria, a metà tra la superstizione spicciola e il divismo di quartiere, ci passa un mare di finzione… realistica (quella che nella quotidianità di santoni ciarlatani, si dirà meglio, sopruso sporco e corruttore). Proprio l’apoteosi di questa cafona deificazione contemporanea è al centro di Indivisibili, terza prova registica del napoletano Edoardo De Angelis, già distintosi nei precedenti Mozzarella Stories (2011) e Perez (2014). Premio Pasinetti al miglior film e menzione per le attrici alla 73ma Mostra del Cinema di Venezia, le esordienti sorelle gemelle, Marianna e Angela Fontana (sulla scena siamesi, attaccate al bacino da una protesi di silicone) prestano i volti a Desy e Viola, coppia di enfant prodige mistico – canore per feste e comunioni che, appena diciottenni, apprendono di potersi chirurgicamente separare, dunque, seguire ciascuna un proprio individuale destino, smascherando i genitori vili e mediocri, i quali negando la separazione alla nascita, avevano fatto della loro disabilità speculazione e sperpero, in quelle periferie talmente abbandonate da Dio, da potersi re-inventare “sante” nella Genesi del malaffare. Il padre – manager, non a caso, afferma “Io vi porto a Medjugorje!”, anziché a San Remo (con - sacrazione ideale, ma non in questo caso!). Ciò premesso, il film ha trovato eco nella cronaca, più che nella critica, anche per essere stato segnalato dal premio Oscar Paolo Sorrentino - in una polemica alquanto anacronistica sui generi – quale preferibile candidatura italiana al miglior film straniero ai prossimi Oscar. E come nasconderlo? De Angelis è un epigono della miglior cinematografia nostrana degli ultimi decenni, Sorrentino e Garrone in primis: sorrentiniane, a modo proprio, sono senz’altro la sequenza festaiola, summa di kitsch da jet set di basso borgo di Mozzarella Stories e quella dell’orgia sullo yacht in Indivisibili, così come proprio in quest’ultimo, domina il protagonismo paesaggistico di Castel Volturno, già esemplarmente reso da L’imbalsamatore attraverso la medesima spiaggia, violentata dai rifiuti delle baraccopoli e dall’abusivismo edilizio. Quel litorale Domizio, dove plausibilmente si consuma anche l’atroce finale di Gomorra. Nel mezzo della spiaggia De Angelis piazza, a far capolino, una statua di Cristo dissotterrata nella sabbia, accostabile alla statua di S. Pio, sospesa su carrucola, nella sequenza del trasloco dalle Vele di Scampia in Gomorra: un pezzo d’arredo lì, che qui s’è fatto rifiuto. Siamo ben oltre lo svilimento dell’immaginario religioso, in Indivisibili l’icona, oggettivazione votiva, si fa carne, ma carne da macello, ad andar bene merce, marketing, merchandising, alla peggio prostituzione delle illusioni e degli alibi di impotenza imposti ed eterodiretti.
La prostituzione, in senso stretto, è difatti l’incipit: ragazze sfatte come zombi sbarcano sulla riva e rincasano scalze. Un piano-sequenza magistrale, che da solo rende giustizia al talento di De Angelis, ci introduce nell’intimità, identità espropriata delle protagoniste, in questa singolare famiglia – impresa, che va pian piano disfacendosi. La madre, emblema e preda dello sbando, abbandonerà i deliri di onnipotenza e possessione del marito, padre - poeta fallito e dissipatore degli ingaggi delle figlie, e nel suo incedere impaludato nella fanghiglia della riva, perde le scarpe e prosegue anch’ella scalza, rivelazione o premonizione di prostituzione senz’altro morale. Pertanto, non meraviglia che una gemella chieda all’altra, vogliosa di concedersi al magnate discografico “del quartierino”, sedicente pigmalione niente meno che di Anna Tatangelo, se per “libertà” intenda proprio “prostituzione”.
Ancora Castel Volturno, che nella cronaca nera fa il paio con la strage di S. Gennaro del 2008 (e con la guerrilla urbana che ne seguì) sceneggiata nel film La bas – educazione criminale di Guido Lombardi, in cui sotto le faide di camorra, persero la vita uomini innocenti della comunità africana. In Indivisibili la comunità di immigrati di colore è proprio il target privilegiato del neo - proselitismo operato dal prete – protettore, riciclatore di denaro, attraverso l’esasperazione del fanatismo religioso nella sacralizzazione del divismo popolare: la malformazione delle ragazze è infatti sfregata come un cornetto rosso da chiunque possa, come atto propiziatorio. Un certo nuovo cinema italiano aveva già posato l’obiettivo proprio sullo sfruttamento mistico dell’infanzia o filtrato dal suo sguardo incorrotto, ma coinvolto, con I baci mai dati di Roberta Torre o Corpo celeste di Alice Rorhwacher. Qui però, peggio che altrove, si traffica con l’innocenza e la verginità dei sogni, con quella credibilità, che solo la credenza popolare comune mitizza, come se lo sguardo infantile sulla disonestà non smettesse già da sè d’essere angelicato ( Il Segreto di ciop&kaf docet ).
Se in Reality Matteo Garrone aveva predisposto una esplicita sovrapposizione tra il secolare culto religioso e il culto mediale, De Angelis mostra il tormento suicida di questa simbiosi. La vergine velata d’azzurro portata in processione su una pala meccanica stringe un pugnale tra le mani ed è già prefigurazione dell’Addolorata a lutto per l’umanità, cui in futuro dovrà portare le vesti; così per sconvolgere e ridestare la processione obnubilata al seguito, rivolta il pugnale contro se stessa. Vicenda di morte e resurrezione d’anime in corpi nuovi, quella di Desy e Viola. Che non si dica però, in conclusione e a seguito della lunga disamina, che il regista non affondi un proprio bisturi d’autore, proprio nella separazione che gli sta più a cuore, il rapporto genitoriale – patriarcale, già al centro dei lavori passati. Le figlie sono sempre emancipate eroine di se stesse di fronte a padri fantocci: naturale prosecuzione del suo precedente personaggio Angelo Tatangelo (ça va sans dire) è giusto il padre delle gemelle, autore degli accorati testi cantati dalle figlie e mai tanto sofferti nell’atto creativo (notevole la sublimazione musicale, firmata dal Maestro internazionale Enzo Avitabile).