Dov'è il mio corpo? (I Lost My Body)

di Jérémy Clapin

Distribuito da Netflix, il primo lungo d'animazione di Jérémy Clapin è un invito, tra poesia e crudo realismo, a spiccare il salto verso i propri sogni ma sempre con uno sguardo piantato alla concretezza del reale.

dov'è il mio corpo - recensione film Clapin

«Se sai che qui c’è una mano, allora ti concediamo tutto il resto»
Wittgenstein, Della certezza

«Se tagli la mia testa dico me e la mia testa o me e il mio corpo? Che diritto ha la mia testa di chiamarsi me?» filosofeggia Trelkowski ne L’inquilino del terzo piano, preannunciando la vertigine identitaria che lo precipiterà nel delirio. Se un braccio amputato o un dente caduto sono pezzi di personalità, l’archivista polacco arriva dunque a chiedersi fino a quale soglia, immaginando di poter smembrare un uomo all’inverosimile, un individuo può ancora definirsi quell’Io che ha sempre creduto di essere. Ogni parte di corpo ridotta a frammento porta infatti con sé la testimonianza irripetibile di una vita, iscritta sotto le pieghe della carne. Lo sa bene anche Jérémy Clapin che con il suo lungometraggio d’esordio d’animazione Dov’è il mio corpo?, accolto in casa Netflix dopo il successo di Cannes e del Festival di Annecy, procede però in direzione opposta alla parabola de-realizzante tracciata da Roland Topor/Roman Polanski. Se con quest’ultima assistiamo infatti ai segnali di una disgregazione fisica che accompagnano la dissoluzione psichica del protagonista, il film di Clapin racconta al contrario un percorso di riappropriazione e ricostruzione dell’identità attraverso l’odissea parigina di una mano mozzata sulle tracce del suo proprietario.

Adattamento del romanzo di Guillame Laurant Happy Hand, reso possibile grazie alle specificità dell’animazione, Dov’è il mio corpo? (traduzione mediocre per il più puntuale J’ai perdu mon corps) non si innesta però su elaborate velleità filosofiche. Al contrario, Clapin si affida alla semplicità di un lirismo trasparente, diretto, alternato a momenti di brutale realismo, per  veicolare la storia di formazione di un ragazzo, Naoufel, orfano dai sogni spezzati in cerca del proprio posto nel mondo. Il conflitto tra spirito e carne è superato fin dalla premessa di una mano che è anche mente, occhi e orecchi, cuore e memoria da riattivare e ricomporre per dare un senso al reale; finestra aperta su quel mondo in cui Naoufel si sente estraneo e che ha (quasi) smesso di amare, la mano attraversa un percorso di riscoperta di sé tramite la cognizione di un dolore sia fisico che dell’animo. Un’avventura suburbana e un viaggio tra i ricordi, tesa fra due traumi (presente e passato) dove ogni ferita è la tappa di viaggio sensorio in cui riacquistare gradualmente fiducia verso una realtà ostile, imparando a tastarne le superfici, ascoltarne i suoni, captarne gli umori. Il tutto ad altezza di topo, ovvero da una prospettiva che costringe a prendere coscienza di ciò che normalmente ignoriamo. Non si tratta solo di trovare il collante di un'esistenza in pezzi, ma soprattutto di accettare la rottura irreversibile, accoglierla, anziché esorcizzarla, e farne il ponte invisibile tra sé e il mondo, prima di tentare un gesto disatteso dal destino, l'unico modo secondo Naoufel per sfuggire a una storia che pare già scritta.

La peculiarità del soggetto di Dov’è il mio corpo? potrebbe ricondurre la memoria a titoli come Il mistero delle 5 dita di Robert Florey o La mano di Oliver Stone, ma soprattutto al personaggio di Mano della Famiglia Addams. In effetti il film di Clapin è intriso di accese venature orrorifiche. Inizia anzi come un horror, sollecita un certo immaginario per smarcarsene però ben presto e mettere il suo crudo realismo, sostenuto da un’efficace impianto action, al servizio di un confronto con la realtà senza sconti, violento e impietoso. Se Clapin e la sua squadra si dimostrano abili nel lavorare sulle parti più dinamiche del film, trovando anche la chiave per coniugare suggestioni di genere differenti, lo scandaglio del passato di Naoufel, - scandito dal bianco e nero dei flashback attivati ogni volta da stimoli sensoriali di vario tipo, - col procedere della visione può risultare però ripetitivo. I fantasmi che ossessionano Naoufel, le immagini di un passato (e un senso di colpa) con cui dover quotidianamente fare i conti, tornano a infestare la visione di Dov’è il mio corpo?, trovando spesso una felice aderenza al tessuto poetico del film ma a lungo andare senza riuscire ad aggiungere molto a un universo emotivo già pienamente configurato.

Nonostante i comprensibili limiti, Dov’è il mio corpo? resta un’opera di valore, un invito a spiccare il salto verso i propri sogni ma sempre con uno sguardo piantato alla concretezza del reale. Ancora una volta ci tocca dunque ringraziare Netflix per aver portato in Italia un film che probabilmente non avremmo visto altrimenti, nonostante il Gran Premio della Settimana Internazionale della Critica a Cannes. Ennesimo monito per un Paese, il nostro, che poco investe sull’animazione e spesso non riesce nemmeno a trovarvi un’adeguata distribuzione, relegandola a forma espressiva minore o ignorandola quasi del tutto. Un Paese in cui vige ancora il pregiudizio per cui “i cartoni animati sono roba da bambini” - salvo poi, con notevole ipocrisia, prediligere come scelta per i propri figli titoli come La famiglia Addams 3D a La famosa invasione degli orsi in Sicilia di Lorenzo Mattotti, perché quest’ultimo troppo impegnativo, noioso, difficile. Tutto ciò si intende, certo, per taluni genitori, non per i bambini che spesso e per fortuna ne sanno molto di più.

Autore: Riccardo Bellini
Pubblicato il 09/12/2019
Francia 2019
Durata: 81 minuti

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