The Knick 2x01 - Ten Knots

La serie diretta da Steven Soderbergh torna sugli schermi con un episodio introduttivo che conferma tutte le qualità estetiche e narrative dimostrate durante la prima annata.

Dopo circa un anno l’attesa è finita. The Knick torna con una seconda stagione accompagnata da aspettative smisurate, visti gli esiti unanimemente riconosciuti lo scorso anno. Nella copertina dedicatagli non abbiamo potuto non sottolineare la pluralità di fattori per cui la serie di Cinemax si impone come uno dei progetti più interessanti del panorama audiovisivo contemporaneo – e ci teniamo volontariamente lontani, almeno a questo livello di indagine, da una categorizzazione che ponga in due recinti separati cinema e televisione. È proprio sui limiti, sui bordi, sulle sponde tangenziali tra le due forme espressive che The Knick mette in evidenza tutti i suoi peculiari attributi, risultando un prodotto (quasi) senza precedenti per ragioni di tipo estetico senza dubbio, ma anche per l’inserimento di uno sguardo autoriale di derivazione cinematografica all’interno di un “gioco” prettamente televisivo che in quanto tale possiede regole in parte indipendenti.

Se la prima stagione aveva chiuso con un’analisi profondissima di tutti i caratteri e soprattutto con una crudele rappresentazione della discesa agli inferi del protagonista, la seconda ha il compito di riallacciare i fili narrativi, di andare a riacciuffare John Thackery dovunque si trovi e riportarlo al suo posto, cioè al centro del racconto e della scena. Tuttavia l’esigenza è anche un’altra, forse ancora più importante, sicuramente scollata da ragioni di tipo narrativo ma decisamente più legata all’affermazione di una forte identità di rete che utilizza lo stile prima che il plot per presentarsi e auto-dimostrarsi. Non c’è indugio che tenga allora per Cinemax, che alla prima occasione disponibile mette in scena l’orrore, o meglio il piacere dell’orrore attraverso la brutalizzazione del corpo umano e attraverso l’escamotage di una chirurgia ancora alle prime armi esibisce una pornografia del corpo umano perturbante come pochissime cose viste negli ultimi anni. John è sorpreso mentre esegue un’operazione al naso a una donna sconosciuta e la regia di Steven Soderbergh non risparmia alcun dettaglio, anzi, proprio come nell’episodio pilota utilizza questa situazione narrativa per operare una vera e propria dichiarazione di stile.

Su un piano strutturale c’è un’altra cosa che Cinemax e pochi altri soggetti in televisione possono permettersi: realizzare una premiere che non si cura minimamente del colpo di scena, dell’azione e soprattutto della centralizzazione del protagonista, da sempre l’elemento di maggior richiamo anche per via dell’interpretazione di Clive Owen.

The Knick è l’abbreviazione di The Knickerbocker Hospital, luogo simbolo della serie e microcosmo all’interno del quale si dipana la matassa narrativa i cui fili sono trainati da caratteri tanto diversi da rendere la struttura ospedaliera quasi autosufficiente. Questa la missione portata a termine dalla scorsa stagione. Oggi si decide di fare il percorso inverso: sappiamo tutto sull’ospedale, tanto da poterlo per un attimo dare per scontato e concentrarci sulla ricerca di quei caratteri che puntata dopo puntata si sono fatti sempre più complessi. Per questa ragione, se provassimo a fare un’infografica o una mappa della narrazione, constateremmo immediatamente l’antitesi tra la prima stagione e quest’inizio di seconda. Dal punto di vista geografico stavolta si parte dall’esterno, ovvero dai personaggi i quali dopo un’ellissi sono stati catapultati quasi tutti fuori dall’ospedale, per andare verso l’interno; attraverso l’incontro con loro si ha la percezione di una fortissima tensione a rincontrarsi e soprattutto a capitolare nuovamente dentro il loro luogo d’elezione, centro gravitazione del racconto, spazio da cui tutti i caratteri sono indomabilmente calamitati. Se il protagonista viene resuscitato dallo schermo televisivo come il più classico degli antieroi ma immobilizzato e geograficamente marginalizzato dalla tossicodipendenza, gli altri non stanno certo a guardare: Lucy prende il racconto per mano e si collega a John piantando le radici nel melodramma classico; Algernon è diventato il capo chirurgo dell’ospedale, ma al contempo è afflitto da difficili rapporti con i collegi e soprattutto dalla vista che inizia a perdere colpi a causa di una malattia incurabile; Tom Cleary diventa il testimone della rivoluzione industriale e del progresso tecnologico grazie alla sua nuova ambulanza; Harriet è in prigione per ragioni inizialmente sconosciute; Herman Barrow è sempre alle prese con la raccolta fondi e i compromessi con la criminalità newyorkese e le relative forme di estorsione; Everett oltre alla rivalità con Algernon ha la convalescenza fisica e mentale della moglie; Cornelia, infine, è rinchiusa a San Francisco con un marito che non ama e dà l’idea di essere la cosa più lontana dal ritratto della felicità.

Non c’è però solo presentazione. Amiel e Begler piantano le basi per un arco narrativo che rivela già diversi spunti di grande interesse, tutti generati dallo iato che ha accompagnato spettatori e personaggi. Questi ultimi li ritroviamo dopo un ellisse abbastanza consistente stranamente tesi a disporsi in coppie.

Una delle più classiche nonché delle più oleate è quella formata da Tom e Harriet, i quali insieme costituiscono un perfetto connubio sia dal punto di vista fisico sia da quello dei generi cinematografici, in quanto la loro interazione costeggia in maniera oscillante dramma e commedia. Però ora capiamo che i due, già complici in passato di azioni al limite della legge, si sono macchiati di un reato per il quale a pagarne le spese è solo la donna. Il secondo incontro dall’importanza cruciale in quest’episodio e, immaginiamo, anche nell’arco della stagione, è quello tra Algernon e Cornelia, la quale finalmente trova l’occasione di tornare a New York e nel momento di un’inaugurazione istituzionale incrocia prima lo sguardo e poi il corpo di quella stessa persona per cui ha provato un amore tanto intenso quanto impossibile. La tensione è fortissima, aumentata dalla presenza del marito di Cornelia (impostole dal padre), personaggio incardinato in un cliché strumentale atto a mettere l’accento sulla frustrazione di entrambi. Steven Soderbergh è poi eccezionale nel collegare l’epoca storica, le innovazioni tecnologiche, il romanticismo tragico della coppia e la riflessione sul mezzo, mettendoli al centro delle riprese di una “nuova” macchina da presa acquistata dall’azienda di Edison. La coppia più inedita di tutte è quella che unisce John e Everett. Quest’ultimo, infatti, spinto anche dall’opprimente rivalità con Algernon vuole a tutti i costi il ritorno del vecchio capo al Knickerbocker e tenta di tirarlo fuori dalla casa di cura in cui si trova. I due iniziano così un percorso parallelo di riabilitazione (individuale e reciproca), quello dei dieci nodi che dà il titolo all’episodio, che per John vuol dire tornare a essere padrone del proprio corpo e della propria mente, mentre per Everett tornare a darsi un senso, a dimostrare a se stesso di valere ancora qualcosa dopo i fallimenti come medico e come marito.

Con un solo episodio all’attivo The Knick ha già dimostrato di poter tornare ad essere uno dei capofila nella serialità contemporanea quanto a disseminazione di talento, sperimentazione visiva e narrativa. Uno dei protagonisti, la cui menzione abbiamo lasciato volutamente alla fine, è ancora Cliff Martinez che con la sua colonna sonora elettronica torna a puntellare il racconto storico di Amiel e Begler, contribuendo all’approfondimento psicologico dei personaggi senza bisogno di parole e impreziosendo sequenze da antologia come quella dell’incontro di wrestling nei sotterranei.

Autore: Attilio Palmieri
Pubblicato il 22/10/2015

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