The Knick 2x08 - Not Well at All
La celluloide della perfezione, la plastica di un corpo solo ed imperfetto
«Tenete bene a mente queste parole che una volta il saggio disse: "Chi sentendosi amato è povero?" - Era Confucio? - No, Oscar Wilde.» E’ attraverso questo scambio di battute tra Ping Wu e Barrow che inizia l’ottava puntata della seconda stagione di The Knick. Sviluppo narrativo che crea le distanze in punti respingenti tra l’uomo e la donna, l’amato e l’amante, e viceversa, in dinamiche di coppia che si allontanano come organi impropri trapiantati in corpi in rigetto. Tra le coppie in gioco a nessuno va bene (Not Well at All), a partire da Barrow stesso, personaggio grigio, strisciante ed opportunista incapace per un caso fortuito di tenere il segreto della sua nuova convivenza e costretto quindi ad accelerare la confessione delle seconda donna, la prostituta, ammessa a sua moglie. L’infermiera Elkins costretta ad abbandonare sul letto dell’ospedale la figura paterna, il reverendo moralmente invadente nella psicologia del suo personaggio femminile, costretto da un ictus paralizzante all’osservazione forzata di un mondo senza possibilità alcuna di parteciparvi, crisi avuta durante un bondage in una cantina di un sobborgo, nell’inferno della sua perdizione cristiana. Gallinger, spaventato dalla follia della moglie, Eleanor, capace di avvelenare il primario del manicomio nel quale lei era stata precedentemente costretta - attraverso una meravigliosa scena incentrata tutta sulla suspanse di natura hitchcockiana propria de Il sospetto - e nuovamente reclusa in una idiots house. Perdita che il dottore affronterà rivolgendo le attenzioni, corrisposte, nei confronti della sorella della moglie, corpo/mente sano e simulacro sostitutivo da una follia che inizia a circondarlo e ghermirlo. Non verrà risparmiata neanche una coppia che poteva ristabilire l’unione sentimentale ed umana duratura, nel confronto con la debolezza delle altre, la coppia venuta a formarsi da i due nuovi amici/coniugi in affari e composta da Harriett e Cleary, un’unione dolce ma impropria, tesa al sentimento dichiarato da Cleary nei confronti della ex suora, ma purtroppo non corrisposto. Corpi di uomini soli, imperfetti ed incapaci di amare o di lasciarsi amare, corpi senza una donna, senza quella parte femminile del loro animo da ascoltare, per dialogare, per salvarsi. Voci di donna che come palliativi cercano di creare un contatto umano e materno che eluda il rischio delle dipendenza alle infinite drugs che la solitudine congenita del nuovo secolo rischia di avvelenare. Puntata che mette a confronto le drugs alle poison, le prime utilizzate per salvare e restituire la vita, o anche solo per alleviare i dolori dell’isolamento attraverso la dipendenza, e capaci, come l’adrenalina, di riportare un coniglio alla vita, mentre le seconde per toglierla, avvelenandola e restituirla alla morte. Come riporta il titolo della puntata non si può salvare nessuno, e lo stesso Thach, sarà costretto alla solitudine da una pesante, e salvifica, figura femminile che tra le sue mani verrà a mancare, costringendo la sua cerchia di fantasmi personali ad accrescersi con l’aggiunta di un nuovo ectoplasmatico rimorso. L’aspetto più interessante è la stretta dialettica che Soderbergh continua ad instaurare tra corpo e cinema, tra organismo e meccanismo, il secondo capace di adattarsi a qualsiasi mancanza organica del sembiante umano, un pre-cinema delle origini capace di integrare le capacità (o i deficit) sensoriali dell’organismo. Dalla settoplastica realizzata attraverso un impianto nasale di celluloide, capace di restituire forma, simmetria, e capacità olfattiva a chi, organicamente, più non la possiede – ma capace anche di togliere la vita stessa se l’operazione viene meno – alla possibilità di spaventare e circuire i sensi dello spettatore, nella vista illusa e terrorizzata dell’uomo che mangia la macchina da presa ed il cineoperatore. Per Soderbergh, prima del definitivo, ed auspicabile, contagio tramite peste bubbonica, il cinema è soprattutto una protesi sinestetica che agisce come un’estensione sensoriale del corpo umano, che esalta come una drugs, che uccide come una poison, creando un’alterità della visione, in un altro posto, in un altra identità, lontana dalla personalità che l’ha generata. Uno strumento psicotropo che crea assuefazione visiva, duale capacità di vedere oltre ed attraverso una realtà immanente oppure meccanismo stregato dall’incapacità di vedere lontano, nel futuro, lasciando l’individuo ancorato al presente, restringendo il suo campo visivo e la sua capacità d’azione nel mondo: costringendolo nella carne e nella sua solitudine. Tornando alla frase iniziale di Wilde, domanda che nella puntata non riceve una risposta diretta ma sottintesa, il poeta inglese rispondeva, «Oh, nessuno», e con il cinema affianco, e con il cinema dentro, fatti di cinema, nessun individuo può davvero restare solo nel mondo.