The Knick 2x09 – Do You Remember Moon Flower?

Nel nome e nel corpo del padre. Non c’è più il cinema, solo i suoi meccanismi

Come se l’Occhio del Novecento - per rifarci alla definizione di Francesco Casetti -, appena nato sia già stato chiuso, senza tagli, effrazioni, senza Buñuel. Il nono, e penultimo, episodio di questa seconda stagione è come se per certi versi andasse ad azzerare ciò che finora The Knick è stato: luogo fisico e simbolico, tecnologico, di carne e di fantasmi, un vedere tra Rossellini e Cronenberg. Lo spazio vitale, la meraviglia dell’innocenza disegnata nei precedenti episodi sui volti spaventati e divertiti di Harriet e Tom Cleary in una fiera, o la conoscenza, inventata, improvvisata, nel contatto di John Thackery con la pellicola in sala operatoria, cedono ora il posto a uno spazio del reale ma senza possibilità di immaginario, di immaginarlo, spazio deprivato della possibilità di dare forme al mondo, di ricercarne complessità e contraddizioni, di scoprirne fughe e fantasie. Gallinger non lo sa ma è contro il cinema. Non per sovversione ma perché limitato, ordinario, perché non è Thackery. Per questo è il personaggio più tragico, anche quando “vince”, come nel confronto contro Edwards davanti al Consiglio di esperti che deve giudicare Gallinger per le sue convinzioni e pratiche eugenetiche.

Do You Remember Moon Flower? è forse il passaggio più “distruttivo”, finora, della serie, in questo c’è la sua splendida riuscita, è l’oggetto che scardina, di nuovo, in una sorta di capovolgimento ideologico, nel segno della società perfetta sognata da Gallinger, il romanzo The Knick, come a disabilitarlo, a sterilizzarlo, a correggerne ogni imperfezione, ad annullarne ogni deviazione: qui il corpo, allora, è quello di The Knick, la sua biologia (e c’è, non a caso, quello di Thackery). Non c’è più il cinema, restano solo i suoi meccanismi, le sue costruzioni. Le sue fondamenta.

Do You Remember Moon Flower? è questa negazione, uno straordinario paradosso che Soderbergh conosce: ecco perché la Nicaragua del 1894, la sua giungla, il villaggio con la popolazione colpita dal vaiolo, non può essere sogno o allucinazione di un Thackery che è “solo” il coprotagonista di questa sequenza che apre l’episodio (spazio e tempo ritornanti in chiusura); un pezzo che mancava, un’origine da mostrare, persino da “spiegare”, l’immagine necessaria per ricostruire i pezzi di un thriller, di un virus diffuso, di una frattura insanabile nella famiglia Robertson, qualcosa che ci racconta parallelamente del nuovo personaggio che è diventato Cornelia in questa stagione. L’incendio, nella New York di The Knick, nell’oggi dei personaggi, è un tassello, un approdo narrativo.

Ed ecco perché in questo episodio non c’è, non può esserci, la cinepresa che registrava l’operazione di separazione delle due gemelle. Ecco perché Thackery arriva troppo tardi, non riesce a salutare le due ragazze, che nel frattempo, e lontano dal suo sguardo, hanno imparato a essere corpi autonomi nella scena più dolce, più intimamente fragile, l’eccezione, il miracolo di questo episodio, la sua unica resistenza, i corpi estranei: hanno chiesto di lui prima di allontanarsi in una carrozza che le sta conducendo a nuova vita, il dottore giunge ma in strada trova soltanto Edwards e “Bertie”, poco prima di accasciarsi in preda a tremendi dolori. Thackery che ha perso di nuovo l’amore ma non ci sono, non possono esserci, fantasmi qui: solo un cast privato di un personaggio, di un’attrice. Altrove, invece, l’infermiera Lucy si conferma il personaggio magnificamente più trasformativo della serie, tra prima e seconda stagione: il titolo dell’episodio è nei suoi occhi e nella sua bocca. È nel nome, nel corpo del padre, in un episodio in cui le famiglie Robertson ed Elkins, le loro ferite sono straordinario cortocircuito sensoriale.

Autore: Leonardo Gregorio
Pubblicato il 15/12/2015

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