Coraggiosa e divertente missione low-budget del Collettivo John Snellinberg, La banda del Brasiliano è girato tra Prato, Livorno e Napoli, con un budget irrisorio di appena 2000 euro e con un solo e unico attore professionista tra le file del cast: Carlo Monni (Berlinguer ti voglio bene e Non ci resta che piangere). Liberamente ispirato al modello e ai cliché del poliziottesco italiano degli anni ’70, questa produzione low-budget del 2009 si presenta come una “tragicommedia toscana”: il territorio e il dialetto sono molto marcati, al limite dell’ostentazione, probabilmente anche per sopperire all’inesperienza degli attori e, quindi, alla relativa difficoltà di recitare in italiano. Tuttavia questa scelta, oltre che il beneficio pratico, aggiunge colore e umanità alla trama – risultando però di difficile comprensione a chi non mastica particolarmente il dialetto toscano, guaio provocato da dialoghi animosi e concitati dove, complice anche la scarsa qualità del suono, la comprensione è di difficile soluzione.
La trama si apre con l’omicidio di un bambino, precedentemente scomparso, nei pressi della periferia pratese. Dall’avvenuto omicidio l’intreccio si sposta sul rapimento, ad opera di una banda di ragazzi, di un impiegato di mezza età. Dal commissariato di polizia, l’ispettore Brozzi (Carlo Monni) viene scelto per indagare sul caso, affiancato dal goffo agente (ed attore) Vannini. Le indagini portano sulle tracce della “Banda del Brasiliano”, una gang di ragazzi sulla trentina che aveva dei precedenti di tentati rapimenti. Scopriremo tuttavia che la banda in questione è formata da un gruppo di ragazzi, incensurati e di buona famiglia, oppressi dal sistema e frustrati dalla loro situazione di precariato, e non da un gruppo di malviventi con precedenti penali alle spalle.
Il rapimento (e il film stesso) è il modo di questi ragazzi per farsi sentire ed avere qualcuno che li ascolti, un modo per rivoltarsi contro l’Italia “dei cinquantenni”, l’Italia che giudica i giovani e che tuttavia non fa nulla per loro; l’Italia che ci dice di rimboccarci le maniche e cercare lavoro anche quando il lavoro non c’è. Tutto il film è infatti una forte critica al Bel Paese di oggi e alla gestione del potere politico. I ragazzi della banda elogiano la generazione degli anziani, dei nostri nonni, e disprezzano invece quella dei loro (nostri) padri. Il tutto è mascherato sotto la facciata apparente del poliziottesco all’italiana che è, invece, solo l’epidermide del film, l’elemento creativo, il legante che tiene salda la trama. Le motivazioni del film del Collettivo John Snellinberg sono da ricercarsi, invece, negli interessanti monologhi dei componenti della banda, che esplicitano con rabbia il loro disagio sociale. Tuttavia il film, come detto in precedenza, utilizza la maschera del poliziottesco per approfondire un tema più ampio e, questa scelta, gli permette di non annoiare il fruitore con continui monologhi languidi a sfondo politico, ma di divertirlo invece con trovate piacevoli e continue citazioni al cinema poliziottesco nostrano. Ecco infatti spuntare nel covo della banda varie locandine del cinema da loro amato, tra le quali La banda del gobbo e Roma a mano armata, giusto per citarne qualcuna. Ovviamente il cast non è eccelso, ma il risultato è meno drammatico di quanto ci si aspetti, tranne forse per il personaggio del goffo agente Vannini, che con calzoncini e camicia a quadrettoni non ha nulla che faccia pensare a un agente di polizia e, francamente, non presenta nulla di divertente. Del resto, in varie interviste, il Collettivo ha più volte ripetuto che “quando i fondi mancano, ci si arrangia”. La banda del Brasiliano è stato infatti girato nei ritagli di tempo, con i mezzi che permetteva l’esiguo budget e con risultati tuttavia notevoli, motivo per cui non si può pretendere eccellenze nei reparti fotografici o sonori, per quello che rimane comunque un singolare progetto e una discreta opera della cinematografia indipendente italiana.