La isla minima
Il noir spagnolo acclamato da pubblico e critica è un viaggio irrisolto tra i fantasmi dell'eredità franchista
Dall’alto delle riprese aeree il Guadalquivir ristagna nella sua immobilità. E’ il 1980, siamo in villaggio Andalusia, ma è chiaro quanto questa marginale località si presti a emotiva rappresentazione della Spagna tutta, così piena di punti interrogativi, lontana da un cambiamento democratico che sembra al momento un mero miraggio. Nella piccola comunità arsa dal sole e circondata dalle paludi, i residui (?) della violenza franchista prendono forma nei cadaveri di due ragazze orrendamente seviziate e mutilate, corpi riemersi dalle acque, fotografie del passato, necrosi di un’ideologia ancora innervata nella memoria. Dietro la facciata del Luna Park del nuovo corso riecheggiano colpi di proiettile, di cui non conosciamo la provenienza. E’ già tutto in questa sequenza l’animo de La isla minima, uno scenario che galleggia nell’incertezza e mancanza di fiducia, dove non c’è assoluzione. L’intera comunità è colpevole, la cui lotta per la sopravvivenza è piena di omertà e mossa unicamente dall’interesse individuale, che si tratti di un fotografo o di un’affittuaria; quello che conta, infatti, è il bieco soddisfacimento del proprio benessere materiale. Non stupisce quindi l’ossessionato desiderio delle nuove generazioni di evadere, di scappare da questa palude senza speranza, così distante da tutto ciò che ci si poteva aspettare con la caduta della dittatura. Ma come la Storia insegna, da una gerarchia si passa sempre a un’altra. Non stupiamoci allora un uomo ricco “con il cappello” eserciti il potere su i corpi dei giovani e rimanga intoccabile.
I due detective della omicidi inviati da Madrid sono il complementare sguardo su un Paese che sta vivendo un delicato momento di passaggio. Juan è il chiaro slancio verso il futuro (democratico), Pedro l’eredità del passato (franchismo), in un dialogo incessante tra le due parti che arriva fino a confondersi nell’approccio alla detection.
La misantropia del primo, pragmatico e di fermi ideali, si oppone allo sfacciato edonismo del secondo, che maschera nell’ebrezza un corpo consumato e malato. Pare non ci possa essere una conciliazione tra i due, soprattutto nella condanna di Juan verso i trascorsi del compagno, ma ben presto il clima di violenza nel quale i personaggi sono costretti a convivere, diventa l’approccio inevitabile, che cancella le differenze, e conferma ancora una volta come le tracce del passato siano quanto di più ambiguamente vero e attuale. E quando un temporale sembra suggerire un movimento (e cambiamento) di questa stasi, l’inquietudine prende il sopravvento. Non c’è nessuna risoluzione, se non l’ennesimo corpo risucchiato dalle acque e una pioggia scrosciante che lava la colpa del sangue, nascondendola.
Trionfatore nell’edizione 2015 dei Premi Goya con ben 10 premi su 17 candidature, La isla minima è un noir agghindato alla perfezione. Ha un’ambientazione che domina come protagonista assoluta, evidente specchio emotivo della vicenda, capace di esaltare le caratteristiche dei suoi elementi naturali (il terreno spaccato dal sole, i paludosi acquitrini); ha un intelligente e mai sbandierato animo politico che crea numerose suggestioni e si innerva nel racconto senza piegarlo in facili retoriche; ma ha anche un limite che è nello sguardo del suo autore, a tratti troppo costruito ed enfatico, attento più all’estetizzante composizione del quadro che all’anima della vicenda. La isla minima inanella personaggi schematici e scelte di dubbia riuscita (le “visioni” degli uccelli da parte di Pedro, la matriarcale sensitiva, l’incontro con il fidanzato di una delle vittime), ma anche qualche sequenza di forte impatto come l’inseguimento dell’auto bianca immerso nel buio o il finale sotto la pioggia battente. Si ha la sensazione che manchi qualcosa, forse una scintilla vibrante e autentica. Un compito ben svolto, con input su cui riflettere, che però, per chi scrive, è lontano da qualsiasi adesione emotiva. Un po’ come le siderali riprese dall’alto sul Guadalquivir. Con tutta onestà: sopravvalutato.