La quarta fermata che il treno retrospettivo sotterraneo di Point Blank visita questa volta, in viaggio da circa un mese lungo il prezioso arcipelago filmico di Andrea Segre, dopo i precedenti A metà – Storie tra Italia e Albania, Ka drita? e Lo sterminio dei popoli zingari, si chiama La Mal’ombra, premio Avanti al 25° TFF, storia di terra e d’industria, di lotta e di sconfitta, di un non più arrestabile sviluppo al fianco di cui, si spera, ci sia anche progresso.
La storia è presto detta. In un fazzoletto del nord est, dalle parti del Vicentino, arriva un bel giorno un imprenditore che di mestiere fa lo zincatore. Col bene placito dell’amministrazione comunale dell’epoca, dell’Arpav – l’agenzia statale per la protezione dell’ambiente – e dell’Asl, ottiene un permesso per smantellare e deviare il locale metanodotto, installare il suo bel capannone e iniziare la produzione industriale di zincatura. Se non fosse che i cittadini della piccola comunità locale, si parla di poco più di un migliaio di persone – infermieri, panettieri, operai e contadini – iniziano a sentire strani rumori notturni dovuti a tir che riversano sul suolo di fondazione della futura fabbrica strani materiali lattiginosi, in aggiunta a pareri poco chiari da parte dell’Arpav, e a una voglia, diciamolo, di non dire addio alla lunga tradizione contadina che ha contraddistinto da sempre le loro terre. Decidono di insediarsi sotto forma di presidio permanente davanti al cantiere della Zincheria Valbrenta, in cerca di risposte chiare e di essere considerati nelle decisioni che si stanno prendendo sul futuro del piccolo paese. Ma vengono presto esclusi, in quanto illegittimi si legge nel rapporto comunale, dalla conferenza dei servizi che si intavola per decidere l’inizio dei lavori. E così: Industriaroli 1 – Cittadini 0. La partita ha inizio. Si dimostra subito una lotta impari, se di mezzo c’è un sindaco compiacente che non rilascia interviste, e tutto il gotha della sanità comunale e provinciale che esprime pareri favorevoli all’insediamento industriale. E allora ci chiediamo noi, dove sta il problema di tale insediamento, se magari quest’ultimo porterà anche lavoro alla comunità locale? Ma come, con i dati sempre più allarmanti che escono fuori sull’occupazione giovanile ai minimi storici e persone di mezz’età che perdono dignità e posto di lavoro, possibile che sia malvisto un insediamento industriale? Documentando e mostrando, analizzando e combattendo, il tutto muove da un soggetto scritto dallo stesso Segre con la collaborazione di Cosimo Calamini per il progetto Checosamanca dal titolo P.I.P. 49, e ci immerge in quella che ormai è diventata una slavina senza controllo e senza fine: la cementificazione e la (de)industrializzazione di terre in cui dalle uova calde appena posate e manzi liberi a pascolare, si è passati e si sta passando in fretta ad anonimi cubicoli prefabbricati e a sirene strillate all’ora per il pranzo. L’urgenza del sempre più maturo cinema-documentario di Andrea Segre vuole porsi proprio questo prezioso quesito: come conciliare (l’inevitabile)sviluppo industriale con la qualità della vita, spesso troppo mercanteggiata in favore di interessi economici? E perché, dietro a decisioni di poteri economici forti, c’è sempre l’appoggio o comunque il sostegno, dei politici locali? Uno degli interessi primari dei sindaci, non è quello di salvaguardare la salute dei proprio cittadini? Magari non c’è niente di male nell’insediamento della Zincheria Valbrenta nel vicentino, ma perché allora centinaia di cittadini hanno deciso di lottare per salvaguardare le proprie terre?
La risposta, forse, va cercata nella recentissima sentenza del tribunale di Torino che ha condannato i proprietari dell’ex fabbrica del materiale che doveva condurre l’umanità verso un’epoca di sviluppo e migliorie in tutti i settori: L’Eternit. Anche allora, al momento dell’insediamento nel Monferrato del 1902 ci fu una piccola battaglia da parte della comunità locale, a dire il vero poco rispetto al saluto favorevole da parte della maggioranza della popolazione locale, che in un inizio di Novecento ricco di stenti e indigenza, ben vedeva la possibilità di un lavoro duraturo. Ma il seguito dice(va) che quella piccola battaglia doveva essere portata avanti, senza fermarsi alla promessa di qualche posto di lavoro.
E allora se per una volta, magari ingenuamente, ci si fermasse e ci si domandasse, a margine di questo bell’inno alla dignità umana che l’autore dimostra di saper ben dosare e muovere, rivolto a questi capitalisti senza capitale: “Siete davvero, profondamente sicuri di essere nel giusto?”