Leos Carax - Mirate al sesso!
“Bisogna nutrire gli occhi per i sogni della notte”: inizia il nostro viaggio tra le immagini del regista maudit per eccellenza del cinema francese.
Naked Eyes: una donna nuda mostra il seno, al posto dei capezzoli ha due occhi grandi che ci guardano. Siamo nel 2009, Leos Carax, regista maudit per eccellenza del cinema francese, non gira un film da dieci anni (se si esclude il cortometraggio Merde! del film a episodi Tokyo). Nei quaranta secondi di Naked Eyes è racchiuso il mistero del cinema caraxiano. Che è un cinema di sguardo e d'amore, di occhi nudi spalancati che ci riconoscono senza più filtri o mediazioni. Che siano gli occhi umidi di Juliette Binoche, quelli tristi dell’alter-ego Denis Lavant o perfino l’occhio di vetro bianco di Mr.Merde, lo sguardo dei suoi protagonisti vacilla sino a invocare la lacrima. Corpi liquidi, bagnati, traghettati dalla limousine/macchina da presa del suo cinema. Occhi scintillanti, traditi da un bagliore, da una luce che sembra venire direttamente dal muto.
Strano caso quello di Leos Carax: appena cinque film in poco più di trent’anni e un immaginario denso, gravido di passioni e di vita. Imprevedibile, disorganico e disarticolato, aperto a tutti gli scarti delle immagini, alle deflagrazioni e alle grida del funambolico Denis Lavant, figlio ideale di Buster Keaton e di un cartoon, con quella sua faccia vissuta a furia di interpretare Alex, protagonista della trilogia caraxiana (quella che comprende i suoi primi tre film: Boy Meets Girl, Mauvais Sang e Les Amants du Pont Neuf). Novello Rimbaud su celluloide, invisibile, reticente a concedere interviste, distrutto dal film-monstrum del cinema francese, il leggendario, sciagurato e bellissimo Les Amants du Pont Neuf paragonabile solo al ciminiano I Cancelli del cielo per come ha messo in ginocchio un’intera industria.
La sua carriera inizia, alla stregua di molti registi cinephiles, tra le sedie della Cinémathèque française: l’imprinting godardiano (regista con cui arriva a dialogare nell'imperdibile corto Sans Titre, una sorta di risposta compendiaria a Histoire(s) du cinéma), la passione per Jean Epstein e le sue teorie fotogenetiche, il culto iniziatico per David Griffith. Il cinema di Carax comincia lì e prosegue con gli otto articoli per i Cahiers du cinéma, passaggio quasi obbligatorio dove perfino il fascino muscolare di Sylvester Stallone si insinua nei suoi occhi. A ventiquattro anni l’esordio, Boy Meets Girl cui segue il folgorante Mauvais Sang. Il cinema diventa un ministero di fantasmi vissuti sulla propria pelle.
Carax, madido di sudore e sangue, gioca a fare film illudendo tutti di essere l’ultimo discendente della nouvelle vague, poi li tradisce con improvvisi inserti pop e con la fascinazioni per il pot-pourri e il collage. Un cinema eterogeneo in continuo movimento, che muta al suo interno senza mai stancarsi di sperimentare. I fantasmi della memoria filmica si trasformano in nuove incarnazioni del desiderio: i primi piani di Lulù (Louise Brooks) rivivono godardianamente nel viso della Binoche. Gli amanti sul battello de L’Atalante diventano le ipotesi di un happy end impossibile di Les Amants du Pont Neuf. Tutto questo non ha nulla a che fare con la citazione o il postmodernismo: Carax ha interiorizzato a tal punto il cinema da farne una categoria esistenziale, un modo di leggere e di interpretare la vita. Le immagini si trasformano, il cinema esplode di rosso sangue, la furia selvaggia si scopre atto d’amore: Carax apre il vaso di Pandora. I movimenti epilettici di Denis Lavant diventano danze radiose e folli, inni al modern love del duca bianco. Il suo cinema traccia l'elegia del caos che ci abita: un musical ininterrotto che alterna estasi cromatiche e derive solitarie in b/n. Non è un caso che sarà Annette il nuovo progetto cui il regista francese sta lavorando da anni: finalmente un musical che è già maledetto, posticipato ogni volta in data da definire.
Noi di Point Blank non potevamo esimerci dal dedicare un dossier al suo cinema: che siano clochard o vittime del sesso senza amore, i personaggi caraxiani camminano, corrono, sbraitano, sbavano tra i resti delle cose. Per distruggerli “Mirate al sesso!” perché lì ritrovano se stessi. Sballottolati qua e là come palline del flipper (“Ho passato due anni davanti al flipper” racconta Carax sulla sua gioventù), lanciati come siluri verso sovrimpressioni, dissolvenze, sdoppiamenti, giochi ottici, sempre in lotta contro la morte, oscillano tra videoclip pop, lanterne magiche ed espressionismo tedesco. Ogni film di Carax riflette sul linguaggio e le sue mutazioni. Ossessionato dall’aurea magica del cinema classico, ne lascia tutti i resti al fuoco per vedere dove vanno le limousine di notte: che fine fanno i film quando non c’è più nessuno a guardarli? Le macchine (di trasporto e da presa) diventano sempre più piccole fino a scomparire. I supporti svaniscono, l’essenziale mira all’invisibile: buio. Così finisce Holy Motors, il più alieno dei film extraterrestri di Carax, una vera e propria bussola per orientarsi (o per perdersi?) tra le immagini del presente.
Infine, affrontare Carax significa riflettere sulle contaminazioni sinestetiche che abitano la sua intera filmografia: pensate alla bidimensionalità fumettistica di Mauvais Sang con tutte le smorfie e la caricature del pastiche. Significa cantare l’amore assoluto che sorge tra le macerie del reale, in una Parigi ricostruita in studio con l’ossessione di irrealizzare le proprie immagini come faceva Sternberg. Come se l’unica realtà del cinema fosse quella dell’emozione che ha bisogno di uccidere i propri padri per trovare tutta la sua verità. In lotta contro i media e le immagini codificate che lo hanno generato, Carax insegue un nuovo punto zero, una nuova dimensione fondativa: come Mr. Merde che l'autore stesso definisce felicemente l’infanzia dell’arte. Oltre ogni morale, non rimangono che la furia e il desiderio: Merde insudicia tutto con afflato anarchico, sputa, sporca, sbava, dichiarando guerra a qualsiasi ordine stabilito. Eccitato, trasforma l’oggetto del desiderio in una nuova Madonna da cui farsi cullare. Così Carax può permettersi di affidare il cinema intero a un’unica canzone, a un ultimo, disperato appello: Revivre!