Il terzo passo. Dopo due lavori di apprendistato si giunge ad un’opera che inizia ad avere le forme reali della maturità. Lo sterminio dei popoli zingari è un lavoro che trasuda storia nelle sue immagini, Ka drita? è ben calibrato, sa affabulare lo sguardo dello spettatore interessato, ma resta pur sempre un’istantanea su Valona, una bellissima immagine panoramica, priva però ancora del respiro antropologico che il suo autore di lì a poco si troverà a sviluppare. Continuando il nostro percorso alla scoperta di Andrea Segre ci imbattiamo questa volta in A metà – Storie tra Italia e Albania, documentario realizzato nel 2001. Un lavoro che sembra delineare le recinzioni entro le quali il regista veneto inizierà a muoversi di lì in avanti, con cognizione sempre maggiore, con padronanza e acume, fino a raggiungere il punto in cui oggi lo troviamo: si può discutere sul gusto personale, ma è impossibile non includerlo nella strettissima cerchia dei documentaristi più importanti in questo momento e in questo Paese.
A metà dicevamo, un lavoro mirabile e la cui visione è consigliata davvero a chiunque, ma in testa, a chiunque abbia mai parlato in vita propria di immigrati e immigrazione, senza che di ciò sapesse nulla, senza che con ciò si sia mai confrontato, senza essersi mai realmente reso conto di cosa questo voglia significare. Un lavoro da reporter, macchina a mano e voglia di conoscenza: ingredienti encomiabili per la riuscita finale. Tre tappe per la costruzione di un percorso, un diario del migrante che viene costruito sequenza per sequenza; “L’idea del documentario è che per farlo anche noi autori migriamo, o meglio affrontiamo l’avventura di una piccola migrazione”, ce ne sono anche di molto peggiori, sembra che ci vogliano suggerire. Valona-Brindisi, Brindisi-Padova e ritorno.
Storie personali di personaggi che odorano di realismo, costruiscono un collage articolato di un’umanità complessiva, una ragnatela di disagi e storie di difficoltà quotidiana vengono cucite una sull’altra, con un montaggio parallelo che crea un coinvolgimento spettatoriale difficilmente riscontrabile in altri lavori che – come questo – non tocchino la nostra personalissima esperienza. Storie di uomini diversi, di mestieri e di salari da miseria scorrono e plasmano l’opera: falegnami come estetiste, cameriere e segretarie, bariste e molto altro ancora. Padova sullo sfondo a incorniciare la vita di chi partendo da Valona ha saputo costruirsi un’esistenza colma di dignità, con il trionfo finale di un matrimonio e di un posto di lavoro. Ma anche la malinconia di chi è stato costretto a scappare, a tornare indietro, a rivivere in un passato da cui era voluto fuggire.
“Senti, tu qui puoi stare quanto vuoi, puoi fare tutto quello che vuoi, ma non sarai mai una persona come tutte le altre, non sarai né albanese né italiano, sarai sempre a metà”, è la frase che sembra quasi un invito a gettare la spugna, a voltare lo sguardo dall’altra parte per nascondere il ribrezzo verso questa realtà. Allora ci sarà nuovamente un traghetto ad attendere chi – sfortunatamente – sarà stato costretto ad ascoltarla. La speranza, per ora, è che ci siano sempre più Andrea Segre su quei traghetti, intenti a girare, a realizzare lavori come A metà – Storie tra Italia e Albania.