Monsters
L'esordio di Gareth Edwards già contiene tutti i segni delle sue opere future, dove ogni inquadratura è un piccolo atto d'amore.
C’è un viaggio. Un paesaggio che è una no-man’s land, un po’ spazio in cui perdersi (e magari ritrovarsi), un po’ perimetro che finisce per definire meglio le figure in campo e le loro relazioni. E ci sono i mostri (gli alieni), naturalmente. Le creature che sulla carta rappresentano il pericolo, quelle per cui conviene chiudere ogni via d’accesso nella speranza di contenerli, la minaccia sempre in agguato. Ma il regista ha occhi anche per loro: quegli esseri che un po’ definiscono il tono del racconto e un po’ si perdono nello stesso orizzonte sconfinato in cui agiscono i protagonisti umani.
A rivederlo oggi Monsters ha già tutte le caratteristiche che abbiamo ritrovato poi nel futuro Gareth Edwards e che gli hanno permesso di imprimere una svolta molto personale a Godzilla (e, speriamo – interventi dall’alto permettendo – anche a Rogue One, che mentre scriviamo non abbiamo ancora visto). C’è quindi il gusto della messinscena di un universo fantastico che si riassume nella creatura eponima (i “mostri”, “Godzilla”), l’estetica bellico-militaresca che circonda e tiene insieme minaccia e salvezza, e il piacere quasi ludico del gigantismo alla cui ombra gli umani agiscono come formiche. Che magari al tempo potevamo prendere per naivete da opera prima, realizzata peraltro con i crismi del perfetto autodidatta, che scrive, dirige, monta, cura la fotografia, arrogandosi tutti i compiti per contenere i costi (ma il film regge la visione meglio di altri low budget contemporanei più blasonati). Invece il futuro ha dimostrato altro, che Edwards mette in scena un proprio universo personale con onestà sincera e senza cercare l’ammiccamento più scontato.
Su tutto c’è infatti un insieme di relazioni che finiscono per abbattere quei perimetri, quelle barriere che definiscono le zone di pericolo e che riescono così a unire il grande e il piccolo, l’umano e il mostro. Che poi di per sé è un bella morale: non tanto perché il mostro sia in fondo umano (perché capace di provare sentimenti) e l’umano in fondo un po’ mostro (perché il paesaggio e i comportamenti ne definiscono la natura difficile e testarda); ma perché in fondo i mostri sono proiezioni dell’umanità e dei suoi desideri più nascosti, che sfrondati di tutto si riconducono agli affetti. Siamo perché amiamo, e anche quello che per il fotoreporter Andrew nasce come una commissione, ritrovare e portare in salvo Samantha, la figlia del suo datore di lavoro, diventa un lento processo di avvicinamento, in cui ci si impara a conoscere a vicenda, mentre si fugge dagli orrori della guerra. Due mondi che si scontrano e si devono riconoscere: l’umano e il mostruoso, il dovere e la responsabilità, l’uomo e la donna, il combattimento e la salvezza, il documentario e la fantascienza.
In questo senso Monsters è quasi un film di corteggiamenti reciproci, costruiti sul filo di relazioni elusive ma sempre presenti, dove lo stile di Edwards, a tratti sì documentaristico, immersivo, da reporter militare embedded, ma sempre dichiaratamente improntato alla costruzione di inquadrature belle (e perciò spesso estatico, che sembra fermare la narrazione per ammirare cosa mette a fuoco) riesce comunque a rivelare una sensibilità nascosta che rende quelle figure, quegli spazi, quelle inquadrature dei piccoli atti d’amore. E se la storia fra Andrew e Samantha non diventerà mai totalmente vissuta - anche e nonostante il bacio finale - saranno i mostri a unirsi nell’abbraccio più inaspettato: scena che poi Edwards rifà letteralmente in Godzilla con l’incontro dei due MUTO, e che diventa quasi una dichiarazione d’intenti e poetica. I buoni e i cattivi riescono così a essere definiti eppure fuggevoli, come questi mostri che hanno l’aspetto al contempo di strane e minacciose piovre o di poetiche e lievi meduse giganti (quasi una vaga reminescenza del Dogora di Ishiro Honda, giusto per tornare a Godzilla?).